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La Città di MILANO

MILANO (lat. Mediolanum)
Città dell'Italia settentrionale, situata nella pianura Padana, capoluogo della regione Lombardia.
Storia e urbanistica
Delle origini celtiche della città è giunta sino a oggi la forma latinizzata del nome, Mediolanum, esprimente un concetto di medietà (non è chiaro rispetto a che cosa), mentre una serie di reperti archeologici dei secc. 3° e 2° a.C. lascia intuire l'esistenza di un primitivo insediamento insubre (non necessariamente unitario e fortificato) nelle adiacenze dell'od. piazza del Duomo. Definitivamente passato sotto l'egemonia romana negli ultimi anni del sec. 2° a.C., l'abitato ricevette una sistemazione secondo assi ortogonali attorno al foro (od. piazza San Sepolcro), ancora in parte riconoscibile; l'impianto a scacchiera fu ben presto superato dal successivo sviluppo edilizio e probabilmente nella seconda metà del sec. 1° a.C. - come hanno accertato gli scavi archeologici - un'area urbana di ha 52 ca. venne per la prima volta circondata da solide mura, nelle quali si aprivano sei porte raccordate con la grande viabilità dell'Italia settentrionale.Nel 286 d.C., dopo la crisi che infierì nella seconda metà del sec. 3°, M. venne scelta come residenza dall'imperatore Massimiano. Le nuove funzioni portarono alla città un imponente accrescimento, che tra il 286 e il 305 rese necessario l'ampliamento della cerchia difensiva soprattutto verso E, dove si aprirono tre nuove porte; l'area intramuranea fu così elevata a ha 106 ca., con l'inclusione a N del circo, da poco tracciato, e dell'adiacente quartiere imperiale con la chiesa palatina di S. Lorenzo, mentre a S-E le mura inglobarono il poderoso complesso delle terme Erculee. Alla metà del sec. 4° la strada che portava verso Roma (od. corso di Porta Romana) venne prolungata all'esterno delle mura in una monumentale via porticata conclusa da un grandioso arco onorario. Nello stesso periodo, sotto il vescovado di s. Ambrogio (374-397), nacquero i primi e più importanti edifici di culto cristiani: la cattedrale dedicata al Salvatore (poi S. Tecla) con il battistero di S. Giovanni alle Fonti (presso l'od. duomo) e la corona di basiliche esterne alle mura, rispettivamente dedicate ai ss. Apostoli (poi S. Nazaro), ai Martiri (S. Ambrogio), alle Vergini (S. Simpliciano), al Salvatore (S. Dionigi, oggi scomparsa).Con il trasferimento della residenza imperiale a Ravenna (403) si aprì per M. un lungo periodo di crisi, entro il quale si inserirono i danneggiamenti provocati dall'incursione di Attila nel 452. La conquista ostrogota (489-494) e la guerra greco-gotica (535-553) comportarono a loro volta violenze e gravi distruzioni, soprattutto a causa dell'assedio e del successivo eccidio compiuto dal goto Uraia nel 539; i dati archeologici consentono di riferire a tale circostanza la demolizione della via porticata, poi restaurata e completata nel corso del 6° secolo. Dopo la vittoria bizantina le mura avrebbero nondimeno beneficiato di un restauro per iniziativa di Narsete. La conquista longobarda, se non provocò altri guasti, indusse il vescovo e numerose famiglie abbienti a migrare a Genova per molti decenni. L'abitato si restrinse prima ad aree limitate e si ebbe poi una "quasi completa cancellazione della città come realtà residenziale e demografica" (Scavi MM3, 1991, p. 357), ciò che potrebbe giustificare la scelta, fatta dai re longobardi, di stabilire la loro residenza in Pavia.Nel 613 Agilulfo datò dal palatium di M. un suo diploma e tre anni dopo, nel circo, Adaloaldo venne acclamato re: a quest'epoca sono quindi da attribuire i segni di ripresa documentati dagli scavi, poiché al tempo di re Liutprando (712-744) i Versus de Mediolano civitate esaltano la città, enfaticamente descritta come ancora racchiusa nelle mura massimianee, apparentemente intatte, nonostante le distruzioni dei secoli precedenti. Esse avrebbero poi subìto un ulteriore restauro per interessamento dell'arcivescovo Ansperto (868-881), opera di cui tuttavia mancano per ora prove materiali; nuovi guasti furono del resto provocati da un assedio dell'imperatore Lamberto nell'896.Grazie alla ricchezza e all'intraprendenza dei suoi arcivescovi la città riguadagnò prestigio durante l'età carolingia e ottoniana. Pur senza disporre di alcuna esplicita delega regia, i capi della Chiesa milanese esercitarono un potere politico che ne fece per qualche secolo, di fatto, gli arbitri della vita cittadina, toccando il vertice con la robusta personalità di Ariberto d'Intimiano (1018-1045). Essi misero a punto il rito ambrosiano e, oltre a governare l'ampia diocesi, estesero, in quanto metropoliti, la loro autorità su numerosi altri vescovadi dell'Italia settentrionale; inoltre disposero di amplissimi possessi e trattarono in modo diretto con gli imperatori, soppiantando le funzioni della capitale formalmente rimasta a Pavia. Fra i secc. 10° e 11° la potenza vescovile trovò una celebrazione nel Libellus de situ civitatis Mediolani, che cercò di attribuire alla cristianità milanese una dignità 'apostolica' non inferiore a quella romana. Legati ai vescovi, fiorirono alcuni monasteri urbani (primo fra tutti S. Ambrogio), la cui importanza economica si diffuse nell'intera area della metropoli milanese; intorno a essi si sviluppò dall'Alto Medioevo l'attività di numerosi negotiatores impegnati nel rifornimento della città, che, almeno dalla metà del sec. 10°, doveva ospitare un mercato, in corrispondenza dell'od. piazza del Duomo.Vere e proprie 'crisi di crescita' interessarono M. nell'età precomunale, manifestandosi prima nelle lotte intestine fra le classi dei milites e dei pedites e assumendo poi un contenuto religioso nel movimento della pataria rivolto contro il clero mondanizzato. Il vigore politico ed economico della società milanese trovò di lì a poco espressione nella nascita del Comune urbano, sanzionata dalla magistratura consolare, che compare per la prima volta nel 1097. Dai cronisti che narrano le lotte dell'età precomunale (Arnolfo di Milano, Landolfo Seniore, Andrea da Strumi) emerge l'immagine di una città capace di organizzare militarmente la propria popolazione partecipando a lunghe spedizioni e difendendosi contro gli eserciti imperiali che l'attaccavano. M. era ancora efficacemente protetta dalle mura e dalle torri della cerchia massimianea, il teatro romano era luogo di riunioni collettive e l''arco di porta Romana', residuo dell'antica via porticata, dovette adattarsi a funzioni difensive. La città continuò dunque a giovarsi dei monumenti tardoantichi sopravvissuti alle distruzioni; accanto a essi svolsero però un ruolo militare, nelle lotte interne, anche le nuove torri private urbane, che erano innanzitutto simbolo di prestigio: la crisi e lo spopolamento dell'Alto Medioevo erano definitivamente superati.La documentazione d'archivio dei secc. 10°-11° consente di rilevare un continuo flusso migratorio avviato dal contado verso la città; nello stesso tempo, l'acquisto di terre in campagna da parte dei cittadini testimonia un rapporto dialettico ininterrotto fra M. e il suo territorio. L'inurbamento è rilevabile, oltre che dall'aumento dei prezzi delle case, dalla loro crescita in altezza e dalla costruzione e ricostruzione di numerose chiese dentro e fuori dalle mura, in corrispondenza con il formarsi di sobborghi. Il gran numero di monete scoperto negli scavi conferma, anche per via archeologica, il momento di eccezionale vitalità.Liberatosi ben presto dal potere vescovile, il neonato Comune si scontrò con le città vicine che si opponevano alla sua affermazione: travolse Lodi (1111), conquistò Como (1127) e ripetutamente venne a conflitto con Pavia e con Cremona, puntando decisamente all'egemonia regionale. Le vittime dell'esplosiva espansione milanese sollecitarono l'intervento di Federico I, che si attuò poco dopo la metà del 12° secolo. Fu probabilmente nel 1156, di fronte alla minaccia imperiale, che la città provvide a rafforzare le sue difese secondo un progetto del famoso ingegnere militare Guintelmo (o Guintellino): venne allora allestito un fossato rafforzato da terrapieno e palizzata (tonimen) lungo un ampio tracciato anulare che rinserrò i sobborghi e sul quale sorsero nuove porte in asse con le più antiche.L'imperatore, con l'aiuto delle città italiane sue alleate, nel 1158 e poi nel 1162, finì per costringere il potente Comune a una duplice resa. In conseguenza della sconfitta la popolazione cittadina venne temporaneamente costretta a vivere in quattro borghi indifesi fuori del circuito urbano, mentre questo venne condannato a una sistematica distruzione. Lo stesso sovrano annunciò la sua vittoria affermando: "fossata complanamus, muros subvertimus, turres omnes destruimus ipsamque civitatem in ruinam et desolationem ponimus" (MGH. Dipl. reg. imp. Germ., X, 2, 1979, p. 192, doc. 351); ma l'antica cerchia romana, come attesta il cronista Ottone Morena nella Historia Frederici I, non poté essere annientata.Tra il 1162 e il 1171, con la creazione del fronte antisvevo che si stabilizzò poi nella Lega Lombarda, gli alleati di M. ricondussero gli esuli nella loro città e dal 1171 provvidero ai lavori di rifortificazione, celebrati in seguito nei bassorilievi di porta Romana (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). Il fossato e il terrapieno precedenti vennero ripristinati e furono allestite sette porte e dodici pusterle in muratura, le prime munite di norma di doppio fornice e di due torri laterali, le seconde di un solo fornice e di un'unica torre; di esse alcune sono giunte in tutto o in parte sino a oggi, di altre sono noti il sito e la struttura.La nuova cerchia difensiva racchiuse una superficie di ben ha 260, entro la quale si manifestarono gli sviluppi e le trasformazioni della piena età comunale. La Storia di Bernardino Corio ha tramandato notizia di un progetto di intervento urbanistico del 1228 (non si sa se poi effettivamente realizzato) che stabiliva di far convergere sul broletto - la nuova sede del Comune allora costruita - otto strade che si dipartivano da altrettante porte urbane.Al medesimo periodo sono probabilmente da attribuire le strutture edilizie sempre più complesse accertate dagli scavi archeologici: esse apparterrebbero perciò alla ricca e vivace città descritta nel 1288 dal De magnalibus Mediolani di Bonvesin da la Riva, circoscritta, entro ampio e profondo fossato, da terrapieno rivestito nella sua scarpata esterna da solido muro, e attraversato da porte e pusterle in muratura. Anche se quelle difese non rinserravano davvero, come l'autore vorrebbe, una popolazione di duecentomila abitanti, la M. di quel tempo era comunque la più grande città italiana tanto per superficie quanto per popolazione. Molti altri abitanti vivevano peraltro nei sobborghi già formatisi fuori delle fortificazioni e nelle numerose cassine periurbane, indizio, gli uni e le altre, di un organismo in continua crescita, di cui si ha conferma non dubbia anche attraverso la coeva documentazione d'archivio.All'interno della città si andavano occupando gli spazi rimasti sino ad allora inedificati, compreso l'apparato difensivo di età romana: a quest'epoca si deve perciò collocare la demolizione della cerchia massimianea, di cui è pervenuto solo un piccolo tratto presso il circo, nell'area occupata allora dal monastero Maggiore. L'incremento abitativo fu però evidente soprattutto nel suburbio, dove si manifestò attraverso la lottizzazione di vasti campi (braide) in possesso di alcuni monasteri, per fare posto a un'immigrazione spontanea di uomini (in generale di buona condizione economica) provenienti, oltre che dall'immediato contado, anche da alcune città limitrofe. È talora possibile verificare e integrare i dati forniti da Bonvesin anche in certi particolari edilizi e dell'arredo urbano, come i luoghi delle attività mercantili e artigianali e la presenza di piazze e di coperta (da intendersi come porticati e logge, nessuno dei quali è giunto integro sino a oggi); benché il De magnalibus Mediolani non ne faccia alcun cenno, non mancavano a M. le torri private, tipiche di tutte le città comunali italiane.Il fossato che circondava le fortificazioni aveva uno sviluppo di km 6 ca. e una larghezza di almeno m 18; esso era alimentato (come già avveniva in età romana) dai fiumi Seveso, Nirone e Olona defluenti nel Lambro attraverso la Vettabbia; all'inizio del sec. 13° esso venne collegato con il Ticino attraverso il naviglio Grande, assumendo così rilevante interesse anche come via di comunicazione. Altri importanti raccordi vennero realizzati nei secoli seguenti dando luogo alla c.d. cerchia dei navigli, che rimase in funzione anche quando le difese si spostarono su una posizione più esterna.A fronte della prosperità economica stanno nel Duecento le discordie intestine fra l'antica aristocrazia urbana e la Credenza di s. Ambrogio, espressione dei ceti produttivi; il perdurare delle lotte portò la città, dopo la metà del secolo, sotto il governo signorile, rappresentato prima dai Torriani e quindi, dopo il 1287, dai Visconti, che agivano come capitani del popolo. I primi tornarono ancora al potere dal 1302 al 1311, per cedere poi definitivamente il posto agli antagonisti. Dal 1330 i Visconti legittimarono l'esercizio del potere con il titolo di vicario imperiale; sotto di essi M., perdendo l'autonomia, acquistò in compenso la pace interna e realizzò le sue antiche ambizioni di supremazia regionale. Con Gian Galeazzo Visconti (1385-1402), anzi, i signori di M. aspirarono a imporre sull'intera Italia centrosettentrionale il loro dominio, sanzionato nel 1395 dal conseguimento del titolo ducale.Ridimensionato nelle sue aspirazioni dalla serrata opposizione degli altri grandi potentati della penisola e dalla prematura morte di Gian Galeazzo, il ducato visconteo si stabilizzò a dimensione regionale con Filippo Maria (1412-1447) e alla sua morte, dopo la breve parentesi della Repubblica ambrosiana (1447-1450), passò nelle mani di Francesco Sforza (1450-1466), fondatore di una dinastia che dominò per un cinquantennio (1450-1499), fino all'inizio dell'età moderna.Nei primi decenni del Trecento, sotto la signoria dei Visconti, venne messo a punto un nuovo fossato difensivo più esterno, il Redefossi, rafforzato in seguito da opere fortificatorie semipermanenti per cura di Azzone Visconti (1329-1339). Dal Redefossi presero origine, nel corso di quel secolo, due nuove vie d'acqua, il Ticinello e il naviglio Pavese (1365); sulle acque interne si vennero inoltre moltiplicando mulini e altre macchine idrauliche al servizio della città e delle sue attività manifatturiere in continuo incremento. Durante il terzo decennio del secolo la M. viscontea viene celebrata nelle cronache di Galvano Fiamma e per la prima volta schematicamente raffigurata mediante due cerchi concentrici che simboleggiano le sue cinte difensive; colpita, insieme con il resto dell'Europa occidentale, dalla grande pestilenza di metà secolo, non beneficiò di alcun notevole sviluppo urbano.I Visconti, nello spirito del governo signorile, intervennero sulle difese esterne e avviarono un piano edilizio di grande prestigio. La dimora dei signori si fissò inizialmente sul lato orientale dell'od. piazza del Duomo, nel sito della prima sede comunale, ma dal 1354 il potere sulla città venne diviso tra Bernabò Visconti (1354-1385) e il fratello Galeazzo II (1354-1378), ciascuno dei quali aspirava ad avere una propria residenza. Dopo il 1358 il primo allestì una 'cittadella' a cavallo delle mura meridionali, inglobando in un unico complesso fortificato porta Romana e porta Nuova. Dal 1368 fa riscontro, sul lato opposto della cerchia urbana, il grande quadrilatero di porta Giovia, sorto per iniziativa di Galeazzo, primo nucleo del futuro castello residenziale, cui lavorarono intensamente gli ultimi Visconti e poi gli Sforza. Nel 1386, per volere di Gian Galeazzo, iniziò la costruzione del nuovo grandioso duomo, i cui lavori si prolungarono per più secoli.
Architettura
La difficile ricomposizione dell'immagine urbana di M. altomedievale si appoggia alla lettura dei Versus de Mediolano civitate (post 738) e del Libellus de situ civitatis Mediolani (sec. 10°), mentre dall'approccio archeologico, pur sorretto negli ultimi decenni da nuove metodologie, si ricavano dati frammentari, che sono stati utilmente correlati ai risultati emersi da vecchie campagne di scavo.Porzioni consistenti delle mura tardoantiche dovevano essersi conservate nel corso dell'Alto Medioevo e la persistenza del circuito delle mura romane è ricordata dai Versus de Mediolano civitate secondo una formulazione elogiativa almeno in parte da riferire all'accentuazione retorica (Lusuardi Siena, 1986); l'apparecchiatura muraria con blocchi squadrati corrisponde tuttavia ai resti archeologicamente documentati al Carrobbio, al monastero Maggiore e a S. Maria d'Aurona. È stato anche evidenziato un sistema di rafforzamento con un muro più grosso in via S. Vito e in via delle Ore; l'integrazione con conci provenienti dall'anfiteatro segnala soltanto un termine post quem degli inizi del sec. 5° per questo tratto della cinta urbica. L'espansione sulle mura tardoantiche si documenta per il monastero e per la chiesa longobarda di S. Maria d'Aurona, per la cappella di S. Silvestro, per il settore sottostante la chiesa di S. Donnino alla Mazza, e, dall'età carolingia, per il monastero Maggiore, sorto tra le mura urbiche e la parete di fondo del circo; entro quest'ultimo complesso, che comprendeva un vasto brolo, una struttura riferibile all'età carolingia viene identificata nella sezione terminale, con una trifora su ogni lato, della torre quadrata di via Luini, forse in origine pertinente ai carceres del circo.Le fonti non forniscono indicazioni sugli edifici eretti in M. in anni prossimi all'arrivo dei Longobardi e nella prima età longobarda. Le fondazioni di una piccola abside dietro l'altare di S. Eustorgio e frammenti murari entro l'emiciclo absidale della chiesa attuale sono stati giudicati pertinenti al tempo di Eustorgio I (ca. 343-355) e di Eustorgio II (511-518). Tra i secc. 6° e 7° è stata datata la chiesa di S. Giovanni in Conca, un'aula rettangolare absidata, segnata all'esterno da robusti contrafforti rettangolari, una struttura sorta sull'area di una domus del sec. 3° in una zona interna alle mura repubblicane, ma forse abbandonata nel corso del 5° secolo. Incerta rimane la datazione del sacello cruciforme, documentato dallo scavo entro la chiesa di S. Maria la Rossa, all'esterno della città sulla via verso Pavia.Il tessuto urbano era comunque segnato da importanti edifici paleocristiani, sui quali i rifacimenti altomedievali si documentano in modo molto incerto.La cattedrale doppia aggregava, secondo una sequenza assiale, la grande chiesa paleocristiana, dedicata originariamente al Salvatore, e almeno dal sec. 8° a s. Tecla - scavata sotto l'od. piazza del Duomo da de Capitani D'Arzago (1952) e da Mirabella Roberti (1963) -, il battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti a E e la chiesa di S. Maria Maggiore, ubicata sotto il duomo attuale. S. Tecla è citata come chiesa aestiva solo a partire dall'879 nel testamento dell'arcivescovo Ansperto (Porro Lambertenghi, 1873, nr. 290), mentre la chiesa di S. Maria è ricordata come iemale soltanto nel 915 (Picard, 1988, pp. 98-99). Si discute se lo schema assiale ricalchi un assetto precedente, mentre dalla lettera di Ambrogio alla sorella Marcellina (Ep., I, 20; CSEL, LXXXII, 1982, pp. 108-125; de Capitani D'Arzago, 1952, pp. 166-168) si evince la contiguità della ecclesia maior, definita anche come nova, alla vetus, detta anche minor (poi S. Maria iemale), sottintendendone la precedenza nel tempo. Inoltre, se si identifica la vasca battesimale, ritrovata nel 1899 sotto la sagrestia aquilonare del duomo attuale, con quella del battistero di S. Stefano, ricordato agli inizi del sec. 6° da Ennodio (CSEL, VI, 1882, p. 160), si deve ritenere che tale struttura fosse connessa a un edificio chiesastico, forse la vetus precedente S. Maria iemale. La notizia della sua costruzione nell'836, riferita dagli Annales Mediolanenses minores, potrebbe indicare un rifacimento connesso alla vita comune del clero. Mentre la denominazione di minor potrebbe essere derivata da un'articolazione in tre navate della chiesa, tra i pochi dati relativi alla chiesa di S. Maria Maggiore, si ricordano il ritrovamento di settori murari, di colonnine e di pilastrini attorno allo scurolo, l'identificazione del diaframma trasversale, con semipilastri forse romanici, collocati in corrispondenza del terzo valico del duomo attuale; le riproduzioni della facciata, distrutta nel 1682, sembrano suggerire un rifacimento intorno al 1378, poco prima che Gian Galeazzo Visconti desse inizio alla nuova cattedrale. All'interno della basilica paleocristiana di S. Tecla, a cinque navate e transetto non emergente, eretta intorno alla metà del sec. 4° e modificata dopo le distruzioni di Attila, si documenta la presenza di numerose sepolture altomedievali, alcune delle quali dipinte. Danneggiata dagli incendi che toccarono M. nel 1071 e nel 1075, fu interessata da rimaneggiamenti che rispettarono l'impianto a cinque navate, comportarono la sostituzione di colonne paleocristiane con pilastri articolati, collegati da muri di fondazione continua, e la rifoderatura dell'abside maggiore post-attilana, affiancata da due absidi minori; incerta rimane la data dell'introduzione della cripta a oratorio, con abside arretrata rispetto all'emiciclo, che de Capitani D'Arzago (1952, p. 109) riteneva precedente l'intervento romanico. L'abbattimento della chiesa tra il 1461 e il 1462 consentiva al cantiere del nuovo duomo di procedere verso O e di ampliare la piazza antistante, affiancata sul lato nord da una struttura porticata, il 'coperto dei Figini'.È attestata la continuità della funzione cimiteriale per le aree contigue alle mura e all'esterno, attorno alle basiliche paleocristiane, è ricordata la costruzione di monasteri, oratori e strutture insediative di vario tipo, in genere scarsamente documentate dai ritrovamenti archeologici e di incerta cronologia. Il sacello addossato al muro perimetrale settentrionale di S. Ambrogio, dotato di abside a semicerchio oltrepassato e di pavimento in opus sectile bianco e nero, è stato datato tra i secc. 5°-6° e 7°-8° e ne è stato registrato l'abbandono già nel sec. 9°, ma sulla sua funzione originaria non sono emersi dati certi. Una domus della basilica apostolorum fu sede del tribunale presieduto dal conte Leone negli anni 820-840, e di una canonica e di un edificium casae rimane traccia in un frammento di epigrafe. All'importanza della basilica virginum, eretta da Ambrogio sulla via per Como, ma aperta al culto dal suo successore Simpliciano (m. nel 401), non si connette un sicuro rinnovamento altomedievale, non risultando in questo senso dirimente il rinvenimento di tegole con il marchio di Agilulfo (591-615/616) e del figlio Adaloaldo (616-625), correlabili anche a interventi di semplice manutenzione della copertura. Tuttavia, un rifacimento di S. Simpliciano, precedente quello del sec. 12°, si documenta sulle pareti laterali al di sopra delle volte, per le tracce di lesene connesse in origine a un numero doppio di sostegni rispetto a quello della ristrutturazione romanica: si configura un assetto con copertura a tetto, variamente datato all'età longobarda o al primo 11° secolo. Scavi recenti hanno prospettato l'ipotesi di una tripartizione dell'invaso e dell'innalzamento del livello pavimentale in opus sectile in età longobarda; non si documenta alcun intervento edilizio in relazione all'istituzione di un monastero nell'881.Tra gli edifici eretti in M. nel corso del sec. 8° si ricorda la chiesa di S. Benedetto, fatta costruire dal vescovo Benedetto nel 703, mentre tra sec. 7° e 8° sono stati datati i resti delle fondazioni di S. Romano presso S. Babila. La storiografia milanese tardomedievale connette le vicende costruttive della chiesa e del monastero di S. Maria d'Aurona all'arcivescovo Teodoro II e alla presunta sorella Aurona intorno al 740. Il ritrovamento ottocentesco di importanti elementi del dettaglio architettonico e dell'arredo liturgico si integra con la pianta pubblicata da de Capitani D'Arzago (1944) per restituire la nozione di un'aula unica a terminazione orientale tripartita, con una nicchia centrale a semicerchio oltrepassato e due laterali rettangolari, saldata a un atrio quadrato: una planimetria di origine discussa, attestata da altre cappelle, soprattutto dell'arco alpino, che non sembrano tuttavia anteriori al tardo 8° secolo.L'istituzione, presso la basilica di S. Ambrogio, di un monastero benedettino, ricordato in due documenti del 784 e del 789 (Il Museo diplomatico, 1971, nrr. 28, 30), viene tradizionalmente considerata un termine post quem per l'erezione del campanile 'dei monaci', contiguo al lato sud della chiesa e datato da Arslan (1954a) al sec. 9°; sulle pareti lisce, la successione dei piani è segnata da monofore, apparecchiate con una tecnica simile a quella del Westwerk di Corvey, mentre la cella campanaria era in antico contrassegnata da bifore, ancora evidenti all'interno del quinto piano, ma chiuse in età romanica per la sopraelevazione della torre. Tracce di interventi del tempo dell'arcivescovo Tomaso nel 780 sono state identificate nella cripta di S. Calimero, mentre nella seconda metà del sec. 8° si ricordano il monastero di S. Salvatore e nell'806 un oratorium di S. Vincenzo in Prato. Intorno all'813 venne fondata la chiesa di S. Maria al Circo, nell'856 la chiesa di S. Maria Fulcorina e nell'871 un'altra chiesa dedicata alla Vergine, detta in seguito S. Maria Podone; tra i monasteri si ricordano S. Protaso, S. Maria del Gisone, S. Maria di Vigelinda.L'attività costruttiva promossa dall'arcivescovo Ansperto (868-881) viene menzionata nel suo epitaffio, conservato in S. Ambrogio: se risulta impossibile riconoscere strutture murarie altomedievali entro l'atrio della basilica ambrosiana e nulla si sa della casa di Stilicone, mancano dati sicuri sul restauro delle mura promosso da Ansperto e incerti rimangono sia lo sviluppo sia la valutazione dei frammenti dell'area dell'arcivescovado, includenti alla base sarcofagi riempiti di malta e pietrame, come nelle fondazioni della cappella di S. Lino in S. Nazaro del sec. 10°; si connette alla committenza del presule la cappella dei Ss. Satiro, Silvestro e Ambrogio, od. cappella della Pietà, adiacente alla chiesa bramantesca di S. Maria presso S. Satiro. Entro l'impianto a croce greca, inscritta entro un quadrato, la campata centrale quadrata più elevata è connessa a quattro colonne raccordate a volte a botte, più basse, sulle campate laterali e a volte a penetrazione sui settori angolari, mentre il perimetro è scandito dalla sequenza di nicchie semicircolari di diversa ampiezza. La struttura architettonica implica il riferimento ai martyria armeni o georgiani o a un prototipo bizantino, che poteva avere ispirato anche la chiesa palatina eretta da Basilio I il Macedone (867-886) e consacrata nell'881; il confronto con l'assetto planimetrico dell'oratorio di Germigny-des-Prés (dip. Loiret) evidenzia l'espansione del settore centrale e la contrazione delle risoluzioni angolari. Sono stati identificati resti del sec. 9°-10° della chiesa di S. Vittore al Corpo, ricordata dal sec. 8°, contigui all'antico ottagono di S. Gregorio, mausoleo di Massimiano utilizzato per Valentiniano II (383-392); la vicina chiesa di S. Martino ad corpus si documenta dall'11° secolo.Nel sec. 10° l'attività costruttiva è attestata da scarsissime testimonianze, tra cui si ricorda la cappella di S. Lino presso S. Nazaro, eretta dall'arcivescovo Arderico (936-948), quasi una riformulazione semplificata dell'oratorio di S. Satiro: l'invaso quadrato e absidato è coperto da volta a crociera, raccordata ad arcate impostate su risalti angolari, entro cui si aprono brevi nicchie semicircolari.Tra sec. 10° e 11° la risentita affermazione del potere episcopale che caratterizzava le città dell'Italia settentrionale si concretizzò a M. in parallelo con l'affermazione della preminenza della Chiesa ambrosiana su quelle dell'Italia settentrionale, incrementando quindi il processo di identificazione della città con il suo vescovo. Nell'arco di trent'anni i vescovi Landolfo II (992-998), Arnolfo II (998-1018) e Ariberto (1018-1045) fecero erigere tre monasteri, S. Celso, S. Vittore e S. Dionigi, di cui non rimane tuttavia alcuna traccia architettonica.Il rinnovamento del settore orientale della basilica di S. Ambrogio viene annoverato tra le prime sperimentazioni del linguaggio romanico, ma la sua datazione rappresenta di fatto un problema critico aperto, che comporta l'oscillazione della cronologia tra la seconda metà del 10° e gli inizi dell'11° secolo. L'addizione all'impianto basilicale paleocristiano di un coro tripartito, sopraelevato sulla cripta e triabsidato - con una campata centrale voltata a botte e due campatelle laterali voltate a crociera -, è improntata a un sostanziale rispetto per l'antico luogo delle reliquie e si concretizza probabilmente in concomitanza con la rielaborazione del ciborio e del ricco apparato decorativo. In parallelo, un nuovo sistema di articolazione della parete muraria correla la sequenza degli archetti pensili al profilo delle nicchie a fornice, sentite anche come un fatto strutturale, in funzione di alleggerimento della parete muraria; il sistema dei fornici facilita inoltre l'adesione dell'estradosso del semicatino alla copertura esterna, secondo un procedimento che Landriani (1889) documenta anche per la botte del coro e che anticipa la sperimentazione più tardi correlata alla formulazione della volta a crociera e soprattutto dei tiburi. La casistica lombarda ed europea evidenzia il ruolo egemone di M. nell'elaborazione del tema dei fornici, anche come unificante connotato linguistico da valutare attraverso la ricomposizione di un apparato di varianti che giungono fino al sec. 12°, in connessione con assetti strutturali differenziati: per es. l'abside di S. Eustorgio, S. Calimero, S. Vincenzo in Prato, S. Vittore al Corpo, S. Babila, S. Giovanni in Conca, S. Celso, S. Nazaro.Nel corso del sec. 11°, tra le testimonianze che documentano a M. la concreta determinazione del lessico architettonico romanico si evidenzia l'introduzione della cripta a oratorio, sia in connessione con un assetto di coro di tipo ambrosiano voltato a botte, come ad Agliate nel contado milanese, sia in emicicli altomedievali come in S. Giovanni in Conca - di cui la cripta rimane come unico elemento superstite -, sia in chiese che direttamente aggregano l'abside al corpo longitudinale, come S. Vincenzo in Prato, un edificio connesso alla tradizione paleocristiana anche per l'utilizzo delle colonne a tripartire l'invaso interno e per la tipologia delle grandi finestre a spalle dritte. Difficile precisare il ruolo della riforma e delle esigenze liturgiche legate alla vita comune del clero, che si è ipotizzato (Cattaneo, 1975) potrebbero avere motivato, tra l'altro, la diffusione della cripta a oratorio in area milanese. Senza forzare il ruolo della riforma in relazione a programmi costruttivi che per l'area milanese non si appoggiano a concrete testimonianze monumentali, Cattaneo (1975, p. 54) ricordava che l'affermazione di una tendenza a differenziare l'area cultuale presbiteriale è documentata dalla canonica fondata da s. Arialdo nel 1062: quel "corus alti curcumdatione muri concluditur, in quo ostium ponitur" (Andrea da Strumi, Vita s. Arialdi) è stato avvicinato al coro profondo di S. Paolo a Mantova tra il 1057 e il 1086, ma è stato citato anche il frazionamento trasversale di S. Maria Gualtieri. Segnali di una prima fase dell'elaborazione del linguaggio romanico sono stati identificati nei primi due pilastri orientali, documentati archeologicamente, della chiesa di S. Eustorgio, di sezione rettangolare, con una lesena aggregata verso le navatelle laterali. Tali resti sono stati connessi a un sistema di arcate trasversali sottese alla copertura a capriate.Incerta rimane la formulazione della chiesa che Benedetto Rozone e la moglie Ferlenda dedicarono alla Trinità nel 1036 in un'area in antico corrispondente al foro e nel Medioevo occupata dalla zecca; allo scadere del secolo, di ritorno dalla prima crociata, Benedetto Rozone di Corticella, pronipote del fondatore, ampliò o riedificò la chiesa con una dedicazione al Santo Sepolcro. L'assimilazione all'omonima basilica gerosolimitana sarebbe dichiarata anche dall'analogia tra la piazza antistante la chiesa, lievemente rialzata, e il monte Sinai. La terminazione orientale triconca e l'aggregazione verso O di due torri, che, insieme con l'estensione della cripta, avevano motivato l'interesse di Leonardo, presuppongono legami con l'architettura d'Oltralpe.Sullo scorcio del sec. 11°, un assetto politico e sociale, che garantiva attorno al consolato la coesione istituzionale e l'unità della città, incrementò il fervore ricostruttivo, che non toccò soltanto le chiese distrutte dagli incendi del 1071 e del 1075; Arnolfo di Milano (Gesta archiepiscoporum Mediolanensium) specificamente menziona S. Tecla, S. Maria, S. Lorenzo, S. Nazaro e S. Stefano. Ripercorrere le tappe di questa vicenda costruttiva non è facile sia per la scarsità degli episodi sicuramente documentati dalle fonti sia per la complessità dei problemi dibattuti dai costruttori milanesi e lombardi attorno alla configurazione della campata voltata, scandita da pilastri articolati in sequenza uniforme o alternata. Deve essere sottolineato piuttosto il carattere sperimentale di alcune empiriche risoluzioni dei costruttori lombardi, e soprattutto milanesi, anche in relazione al problema dell'introduzione di una dinamica spaziale innovativa entro sistemi costruttivi tardoantichi, secondo premesse e implicazioni diversificate e certamente con esiti non a fondo indagati.A S. Ambrogio il meccanismo compositivo della campata alternata si applica a un assetto longitudinale che ricalca l'impianto della chiesa antica, sia nel dimensionamento sia nell'allineamento dei sostegni, mentre la divaricazione delle pareti nel settore occidentale favorisce la connessione con il quadriportico; risulta invece difficile verificare i riferimenti tra la chiesa antica e quella attuale per un tema qualificante del S. Ambrogio romanico come il matroneo, poiché, come è noto, l'ipotesi di Verzone (1974) circa la presenza di matronei nella chiesa paleocristiana si basava su osservazioni relative all'arcata trionfale, danneggiata anche dagli eventi bellici. La nuova dinamica spaziale si concretizza nella chiesa ambrosiana attraverso l'introduzione, in sequenza alternata, dei possenti pilastri polistili e delle volte a crociera costolonate; si tratta di volte molto rialzate in chiave, quasi pseudo-crociere a cupola costolonate, che richiesero probabilmente l'applicazione, sull'estradosso, di voltine sussidiarie, a mediare l'adesione delle falde della copertura, secondo un procedimento che si documenta in altre chiese lombarde a sistema alternato, e specificamente in S. Savino a Piacenza, S. Michele e S. Giovanni in Borgo a Pavia. La parete, nel settore corrispondente all'unità modulare della campata centrale, evidenzia la serrata concatenazione tra il profilo delle volte e la successione duplicata delle arcate, connesse all'articolazione dei matronei. La luce, filtrata dai grandi finestroni aperti sulla loggia, acquista il valore di elemento unificante nella scansione pausata di comparti modulari voltati, mentre a E la cupola ottagonale, introdotta senza la giustapposizione di un corpo trasversale, sottolinea l'importanza dell'altare e delle reliquie ambrosiane. La ricostruzione della basilica fu avviata probabilmente verso lo scadere del sec. 11° e, in assenza di sicuri appigli cronologici, qualche indizio potrebbe essere dedotto dal campanile dei canonici - "noviter in eadem Ecclesia fundatum et in maxima parte aedificatum" nel 1128 (Giulini, 1760, VII, p. 92; Porter, 1915-1917, II, pp. 556-560) - se fosse stato chiarito il nodo dell'adesione tra le due strutture.Nella chiesa di S. Lorenzo una campagna di lavori si rese necessaria dopo gli incendi del 1071 e del 1075 e per il susseguirsi di eventi nefasti fino al 1124; tra questi è stato annoverato anche il terremoto del 1117. È probabile che i danni subìti dalla struttura tardoantica non fossero irreparabili e che l'opera dei costruttori romanici sia stata finalizzata al consolidamento della copertura originaria e all'approntamento all'esterno di un tiburio piuttosto che a un'integrale ricostruzione. Il disegno cinquecentesco, precedente la ricostruzione del 1574, configura la possibile 'ritessitura' della struttura tardoantica attraverso il lessico architettonico romanico: se le torri angolari, parzialmente integrate e decorate con il partito degli archetti pensili, furono connesse al corpo centrale con archi rampanti, la configurazione del tiburio attraverso la doppia galleria e la cornice ad archetti pensili ricalca cadenze tipiche del Romanico lombardo, mentre all'interno i pilastri sono legati al ballatoio del matroneo da un sottile saliente e da una cornice ad archetti pensili, come sulla parete di S. Ambrogio.La ristrutturazione romanica della chiesa di S. Nazaro si consolida sull'assetto della chiesa paleocristiana, inglobandone, oltre che la planimetria, sostanziali porzioni dell'articolazione in alzato. Entro l'involucro spaziale antico, l'introduzione delle volte a crociera costolonate si connette alle pareti laterali attraverso semipilastri, quindi attraverso un meccanismo compositivo più semplice di quello di S. Ambrogio. Lo stesso criterio di armonica rivitalizzazione dell'invaso paleocristiano si registra nell'aggregazione del transetto, caratterizzato in origine da un diverso assetto proporzionale e soprattutto da un dislivello volumetrico problematico per le risoluzioni del sistema voltato: i bracci trasversali, in antico quasi vani subordinati, sono riplasmati attraverso l'espansione delle absidi, che accentuano la forma esterna cruciforme, e sono legati al vano centrale con l'integrazione della cupola, innervata da quattro arcate unitarie, quelle longitudinali sovrapposte allo sviluppo degli arconi antichi.S. Maria d'Aurona attesta che il tessuto architettonico, forse di età longobarda, poteva essere coordinato alla spazialità romanica anche in riferimento al sistema uniforme, e non soltanto a quello alternato di S. Ambrogio: la tripartizione del vano viene realizzata con la dislocazione dei pilastri articolati in corrispondenza dei settori di giunzione tra le absidiole. Se le dimensioni anguste dell'invaso condizionarono la successione omogenea di campate pressoché quadrate al centro e rettangolari ai lati, sembra plausibile che una delle prime sperimentazioni per l'applicazione della volta a crociera anche alla navata centrale possa essere riferita a una chiesa di piccole dimensioni, in anni forse anteriori alla fine dell'11° secolo.La scansione a tre navate per una successione uniforme di tre campate caratterizza anche la chiesa di S. Babila, fondata dal chierico Nazaro Muricola nel 1096 e già in funzione nel 1099; forse entro il primo venticinquennio del sec. 12° la chiesa fu dotata di una copertura a volte a crociera sulle navate laterali e a botte sulla navata centrale, anche se la formulazione dei sostegni, non sistematizzata in riferimento alla ricaduta del sistema voltato, ha indotto alcuni critici a ipotizzare la previsione di volte a crociera anche sulla navata centrale. Tra la sezione dei sostegni e la tipologia delle volte si registrano spesso incongruenze, interpretate come indizi di una sperimentazione in atto sul problema dell'applicazione delle volte a campate di grosse dimensioni o come segnali di rigide fasi costruttive intermedie o di trapassi troppo schematici da sequenze uniformi a campate alternate coperte a botte o a crociera: costante rimane comunque in ambito milanese l'articolazione in alzato su due livelli, mentre la previsione del matroneo risulta limitata, stando alle testimonianze superstiti, a S. Ambrogio e a S. Lorenzo. La stretta connessione con l'ambiente milanese della chiesa di S. Sigismondo a Rivolta d'Adda (prov. Cremona), consacrata nel 1096, ma eretta nei primi due decenni del sec. 12°, si evidenzia nelle prime due campate orientali uniformi, coperte a botte come in S. Babila, mentre nelle due successive campate l'alternanza del sistema e l'introduzione di volte costolonate, molto rialzate in chiave, dichiarano la connessione con la navata di S. Ambrogio. Anche a S. Celso l'impianto basilicale a tre navate, scandite in sequenza alternata, ricordava Rivolta d'Adda, mentre il riferimento alla basilica ambrosiana era esplicitato dalla tipologia dei sostegni e dall'apparato decorativo.L'applicazione del sistema alternato ambrosiano era proposta con due sole campate centrali, precedute da un coro rettangolare, nella chiesa di S. Giorgio al Palazzo, ubicata presso il palazzo Imperiale e consacrata da Anselmo V nel 1129; nel priorato cluniacense di S. Maria Assunta di Calvenzano presso Caselle Lurani, strettamente connesso a una donazione dell'arcivescovo di M., l'articolazione in tre navate sembra derivata dalla riduzione del tracciato planimetrico di S. Ambrogio secondo una formula che ricalca quella di S. Giorgio al Palazzo; alla chiesa ambrosiana rinviano anche l'articolazione parietale esterna, l'assetto del coro e delle campate alternate, la formulazione dei pilastri, la cui articolazione si riconnette tuttavia alla graduazione dei profili delle arcate piuttosto che alla configurazione del sistema voltato.Entro la chiesa di S. Stefano, ubicata vicino all'omonima pusterla, la scansione di campate centrali oblunghe e laterali quadrate configurava un sistema uniforme, con pilastri articolati connessi a volte a crociera costolonate, mentre alla facciata aderiva un nartece a cinque campate. La successione di campate uniformi di S. Eustorgio è invece frutto di diverse fasi costruttive che rispettarono il preesistente sistema di dimensionamento nel rapporto 2,5:1 tra navata centrale e laterali e nell'allineamento dei pilastri a tau, dilatandone gli interassi; se non è stata ancora chiarita la progressione dei lavori, si può ipotizzare che fossero in prima istanza interessate le prime quattro campate occidentali, cui seguì l'introduzione di un sistema alternato con pilastri forti, simili a quelli di S. Ambrogio, e piloni circolari.Nel tardo sec. 12° l'invaso longitudinale e il transetto di S. Simpliciano furono divisi in tre navate coperte da volte a crociera impostate alla stessa altezza, a configurare un'articolazione definita 'a sala'; nel contempo furono chiuse le grandi monofore paleocristiane, fu eretto il campanile e furono modificate l'abside e la facciata, arricchita di un'importante decorazione plastica.Nel corso del sec. 12°, il ruolo degli ordini monastici come mediatori di relazioni di raggio europeo è stato sottolineato, per M. e l'area lombarda, soprattutto in riferimento alla contestualità cistercense. La prima fase costruttiva di Chiaravalle Milanese, tra il 1138 e il 1150 ca., segnò il distacco dalla locale tradizione tardoromanica e incise sulle più importanti imprese costruttive del tardo sec. 12°: stretti legami, quasi radici linguistiche unitarie, dell'esperienza cistercense e di quella comunale si identificano nell'organizzazione modulare dello spazio e nel "rivoluzionante uso della linea retta come unico elemento generatore, così delle piante e degli alzati, come della loro resa figurativa" (Romanini, 1968, p. 13).Le devastazioni di Federico Barbarossa incisero pesantemente sul tessuto urbano e distrussero il sistema difensivo - fossati, terrapieni muniti di palizzate e porte provvisorie in asse con quelle della cerchia massimianea - messo a punto tra il 1156 e il 1160 dall'ingegnere militare Guintellino (o Guintelmo) e già comprensivo di nuovi quartieri sviluppati a ridosso delle mura romane. L'erezione della nuova cinta muraria fu iniziata nel 1171 secondo un progetto unitario, portato a termine in fasi successive, a opera forse di maestranze differenziate. Due lapidi, in origine infisse sulla porta Romana (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica), ricordano il ritorno dei Milanesi in città, l'inizio della costruzione delle porte e delle torri, i nomi dei consoli, dell'architetto Girardus de Mastegnianega e dei supervisori ai lavori. Si è molto discusso sulla formulazione della cerchia difensiva del sec. 12°, che era probabilmente costituita da un profondo fossato delimitato all'esterno da sponda muraria e verso l'interno da un terrapieno, mentre in muratura erano sicuramente le porte affiancate da torri; al tempo di Azzone quindi il terrapieno sarebbe stato sostituito da una cortina muraria vera e propria e le torri, rimaste incomplete, sarebbero state innalzate. La scansione a fornici e la modulazione del raffinato paramento lapideo evidenziavano la novità strutturale e formale delle porte del sec. 12°, "archi di trionfo latini tradotti in lingua gotica" (Romanini, 1989, p. 29), segnali celebrativi dell'autonomia e della potenza del Comune milanese, anche attraverso la connessione con la tipologia delle antiche porte urbiche. Nella porta Nuova, a due fornici coperti da volta a botte tra due torri quadrate, sporgenti verso l'esterno della città, il rivestimento a blocchi alternati di serizzo grigio e bianco, alcuni dei quali di origine romana, evidenzia il lucido disegno strutturale delle arcate - verso l'esterno a pieno centro con ghiera a sesto ribassato e verso la città a sesto ribassato - connesse attraverso cornici modanate a semipilastri laterali e a un pilastro centrale. La stessa formulazione caratterizza la porta Ticinese, a un solo fornice, e, con la variante dell'arco ogivale, la pusterla di S. Ambrogio, eccezionalmente a due fornici, e quella dei Fabbri; quest'ultima si caratterizza per la raffinata elaborazione dei dettagli architettonici, facendo ipotizzare una fase più matura. Tangenze stilistiche e formali tra l'arte cistercense e quella comunale sono già state evidenziate da Romanini (1964; 1968), che ha di recente (Romanini, 1989) sottolineato l'importanza dell'esperienza bernardina, sia in relazione al tracciato modulare sia alle singole risoluzioni costruttive e formali dell'arte comunale, specificamente per la cinta muraria e per le porte milanesi: elementi qualificanti della struttura e del dettaglio architettonico, articolati sulla base di un'elaborazione quasi modulare, farebbero pensare a maestranze cistercensi.Mentre nel sec. 12° i magistrati cittadini si adunavano nel broletto Vecchio, attiguo al palazzo Arcivescovile, a segnalare la connessione che in origine legava l'istituzione comunale al vescovo, la costruzione del broletto Nuovo si documenta nel 1228 entro il nucleo più antico della città e in relazione alla configurazione centrica di una grande piazza, scandita da edifici porticati e dalla convergenza di strade di collegamento alle principali porte cittadine; i lavori procedettero speditamente - nel 1230 i consoli poterono emettere le loro sentenze al suo interno - e furono conclusi nel 1233, come ricorda l'iscrizione sottostante la statua equestre del podestà Oldrado da Tresseno, che fronteggia la piazza dei Mercanti. L'edificio, di pianta rettangolare, si compone di due vani equivalenti, collegati da scale esterne: un piano inferiore aperto e porticato, scandito longitudinalmente in due navate da pilastri in pietra - ceppo e serizzo -, e una sala superiore unitaria, illuminata da trifore entro arcate. L'essenzialità lineare della superficie esterna in cotto, incisa dalla sequenza delle trifore secondo cadenze di pura sostanza gotica, si connette al limpido assetto distributivo del broletto Nuovo, concreto simbolo della identità e della potenza del Comune.In Lombardia, l'importanza dei Cistercensi in riferimento alla determinazione di razionali congegni progettuali trova precisi riscontri non solo nelle architetture civili, ma anche nelle testimonianze degli Umiliati e dei Mendicanti, promuovendo l'avvio di direttive di ricerca che configurano la nuova lingua gotica. Gli edifici degli Umiliati sarebbero stati "non tanto esemplati sul modello quanto piuttosto elaborati alla scuola se non addirittura direttamente a opera della grangia cistercense" (Romanini, 1989, p. 38), a partire dal più antico insediamento di Viboldone. Mentre le chiese extraurbane di S. Lorenzo in Monluè e di Mirasole sono semplici aule uniche a terminazione perimetrale rettilinea, nel lucido tracciato lineare di S. Maria di Brera, eretta a partire dal 1230 ca., l'assetto distributivo a tre navate si caratterizza per la limpida successione dei piloni cilindrici, sottolineata dal contenimento dell'abside centrale entro il muro orientale rettilineo, mentre si ipotizzano un alzato 'a sala' e una concatenazione alternata delle campate, quelle laterali coperte da volte a crociera archiacute con costoloni torici.L'avvio della chiesa di S. Marco, ubicata verso N, sulla via verso Como, è stato attribuito (La chiesa e il convento di S. Marco, 1987) agli Zambonini, gruppo di penitenti seguaci della Regola di s. Agostino, tra la fine del sec. 12° e gli inizi del 13°, e resti della prima fase costruttiva sono identificabili in una struttura già orientata corrispondente al braccio meridionale del transetto attuale. Dopo il 1254, un importante ampliamento, operato da Lanfranco Settala, generale dell'Ordine degli Agostiniani, determinò l'apertura di cappelle sul transetto sud e l'espansione del braccio corrispondente verso N, la costruzione del coro e del corpo longitudinale tripartito e voltato fino al quarto pilastro; nella rielaborazione trecentesca fu ampliato il coro con un'abside poligonale, furono prolungate le navate dotate di copertura a capriate e, forse già dal primo Trecento, furono aperte cappelle sul lato sud, mentre il campanile del 1290 presenta una formulazione tipicamente lombarda.I Domenicani e i Francescani si stanziarono a M. presso chiese preesistenti, riplasmate attraverso rielaborazioni di sapore fortemente innovativo. La presenza dei Domenicani presso la chiesa di S. Eustorgio tra il 1216 e il 1220 e il successivo impulso, seguito all'assassinio di s. Pietro Martire nel 1252, comportarono il rifacimento della chiesa romanica, scandita in campate uniformi dotate di volte a crociera impostate alla stessa altezza per la configurazione di un unitario alzato 'a sala', destinato a incidere sul contesto costruttivo lombardo; in seguito la chiesa fu ampliata con un transetto meridionale e con l'apertura di cappelle sul lato sud, mentre tra il 1297 e il 1309 fu eretto il campanile. Si conservano brani dell'abside della chiesa duecentesca, a navata unica, del monastero di S. Maria della Vittoria, sede di monache agostiniane, poi legate alla Regola di s. Domenico e alla chiesa di S. Eustorgio.La presenza dei Francescani è documentata a M. in un testamento del 1224 (Alberzoni, 1983a, p. 63) presso la chiesa di S. Vittore all'Olmo, non lontano dal monastero di S. Vittore al Corpo, all'esterno delle mura. Nel 1230 i Francescani si insediarono in città presso le basiliche di S. Nabore e S. Ambrogio e nel 1233 iniziarono la loro chiesa, che verso il 1256 fu aggregata alla basilica naboriana, mantenendo di quest'ultima anche la titolazione; da lasciti documentari si deduce che intorno al 1270 la costruzione e la copertura della chiesa non erano concluse. Nell'addizione di campate voltate all'invaso preesistente, forse coperto a tetto, si applicava un procedimento costruttivo riqualificante e drammaticamente orchestrato, destinato a incidere sull'architettura dell'Ordine in ambito lombardo. Mentre è incerta l'esistenza di un convento francescano presso la chiesa di S. Gottardo, va ricordata nel 1223-1224 la presenza delle Clarisse presso la chiesa di S. Apollinare, sita oltre porta Romana accanto alla pusterla di S. Eufemia; l'articolazione della chiesa di Pozzuolo Martesana, ricordata nel testamento del 1295 del cardinale Pietro Peregrosso (Alberzoni, 1983b, p. 73), può essere assimilata alla tipologia semplificata delle 'chiese-fienile', per la declinazione ad aula unica aggregata a un coro rettilineo con due cappelle laterali emergenti a modo di transetto.Nel tardo sec. 13°, la rielaborazione della chiesa di S. Giovanni in Conca, rispettosa dell'abside e della sottostante cripta romanica, fu attuata in forme tipiche del Gotico milanese e lombardo attraverso l'alleggerimento della massa muraria e la scansione semplificata degli elementi strutturali, connessi alla definizione pittorica della parete. L'invaso paleocristiano, tripartito con piloni cilindrici per una successione omogenea di quattro campate, era scandito da un'articolazione 'a sala' attraverso una copertura a tetto sulla navata centrale e a volte sulle laterali, mentre sulla campata orientale pilastri articolati reggevano un tiburio, corrispondente a una fase costruttiva successiva; la modulazione della facciata a vento, con definizione policroma delle membrature, venne ripresa nel corso del Trecento secondo un assetto in genere contrassegnato da un più pronunciato verticalismo e dalla dilatazione delle aperture. Con l'inizio del dominio visconteo, il linguaggio architettonico è segnato da apporti esterni al contesto locale.La cappella ducale di S. Gottardo in Corte, eretta per ordine di Azzone Visconti nel 1336, sotto la direzione del cremonese Francesco de' Pegorari, era un'aula rettangolare lunga e stretta, scandita in tre campate da contrafforti connessi a frontoni cuspidati e pinnacoli, di sottile e pittorica modulazione; anche nella facciata si attuava "la semplificazione delle linee architettoniche riportate in superficie quali limiti di zone cromatiche" (Romanini, 1955a, p. 646) che caratterizza tutto il Trecento milanese e lombardo, ma che nel contempo dichiara la connessione con il contesto cremonese. Le stesse coordinate linguistiche segnano l'abside poligonale e la torre, nella quale l'architetto volle apporre la sua firma: il confronto con il tiburio di Chiaravalle Milanese e il coronamento del Torrazzo di Cremona evidenzia lo slancio verticale più insistito e la più compatta modulazione cromatica delle superfici.Una delle prime attestazioni della penetrazione di accenti toscani in area milanese è rappresentata dalla loggia degli Osii, a due ordini di logge sovrapposte e arcate acute, fondata nel 1316 per impulso di Matteo Visconti, che ne affidò l'esecuzione a Scoto di San Gimignano: essa costituiva, insieme con il 'portico dei Banchieri' eretto da Azzone nel 1336, il lato meridionale della piazza antistante al broletto Nuovo. In essa, la risoluzione dei volumi entro il piano di superficie, con marginature sottilmente linearistiche, è declinata in relazione a una tessitura parietale in marmo a bande orizzontali bianche e nere, rara nelle strutture civili milanesi di età gotica. Un momento significativo dell'architettura civile trecentesca, prototipo dei castelli lombardi di fondazione viscontea, si identifica nei resti del palazzo di Azzone Visconti, eretto intorno al 1336; dalle strutture emerse all'interno del complesso di Giuseppe Piermarini si ricostruisce l'impianto quadrato, aperto sul cortile interno, ritmato da portico ad arcate acute e sovrastante loggia.Cadenze toscane, mediate dall'arrivo di Giotto nel 1334-1335 e di Giovanni di Balduccio nel 1334, segnano l'architettura milanese della seconda metà del sec. 14° a partire dalla fronte di S. Maria di Brera, nella quale l'artista pisano firmava nel 1347 il portale. La facciata, a fasce orizzontali in marmo bianco e nero scandite da quattro contrafforti, era arricchita della presenza di sculture e modulata da bifore e da trifore, mentre il portale, dotato di piedritti e archivolti modanati, era sormontato da una ghimberga con un rosone e tre tondi. L'influsso della facciata di S. Maria di Brera, quasi un'impaginatura plastica a sé stante, è presente nella produzione dei maestri campionesi e in edifici di ambito milanese e lombardo: basti citare la parrocchiale di Bellano (prov. Como), la facciata dell'abbaziale di Viboldone, del 1348, la facciata di S. Maria in Strata e del duomo di Monza.La tendenza a riportare verso il piano di superficie la scansione delle membrature architettoniche, presente anche nel fianco meridionale di S. Eustorgio, motiva la fortuna del linguaggio essenzialmente decorativo di Giovanni di Balduccio e dei maestri campionesi nella capitale lombarda, ma non oblitera la declinazione di impianti 'a sala' di vigorosa risonanza architettonica. Queste due linee di tendenza si registrano in alcune chiese del contesto milanese e lombardo ad aula rettangolare absidata, che si rifanno al modulo di S. Gottardo in Corte: dagli oratori di Solaro, Mocchirolo, Lentate sul Seveso, all'abbazia di Mirasole, riedificata nel sec. 15°, alla chiesetta di S. Cristoforo sul Naviglio, costituita da due vani accostati e comunicanti attraverso due ampie arcate, quello nord anteriore di un secolo a quello sud, fondato in occasione della pestilenza del 1398. Si datano al tardo sec. 14° la sezione occidentale e la fronte di S. Marco, caratterizzata da una complessa ma limpida intelaiatura lineare e da sottili variazioni cromatiche, quasi una rilettura campionese di formule toscane; l'ascrizione a Menclozzo è documentata dalla cronaca manoscritta seicentesca del canonico Valerio (Milano, Bibl. Ambrosiana). Moduli vicini alle addizioni trecentesche di S. Marco dovevano caratterizzare la chiesa di S. Maria della Scala, eretta per volontà di Regina della Scala, moglie di Barnabò Visconti, a partire dal 1381 sulle rovine dei palazzi dei della Torre.Apporti della tradizione veneta in ambito milanese sono stati riconosciuti nella facciata di S. Maria Maggiore con paramento murario a losanghe, approntata dopo i danni provocati dal crollo della torre campanaria di Azzone nel 1353; essa è stata ascritta ai Dalle Masegne e avvicinata alla fronte dell'antica cattedrale di Mantova (Romanini, 1955a; 1964).Il nuovo duomo sorse sull'area di S. Maria Maggiore, la cui distruzione fu operata in base alle esigenze del cantiere e in parallelo con quella dei due battisteri di S. Stefano e di S. Giovanni alle Fonti e del palazzo Ducale. Non sono del tutto chiariti il ruolo della committenza, il reale inizio dei lavori, di fatto precedente la data ricordata dall'iscrizione del 1386, la determinazione del progetto. L'assetto planimetrico a croce latina aggrega il corpo longitudinale a cinque navate al transetto a tre navate, dotato di piccole absidi poligonali, e al coro, connesso all'espansione del deambulatorio, dell'abside semiesagonale e di due sagrestie, allineate con le navate esterne. Pilastri polistili, articolati da otto membrature, e volte a crociera archiacute con alti capitelli a nicchie cuspidate configurano un alzato a 'gradonature' (Romanini, 1964) anche per la breve differenza d'imposta tra navata centrale e laterali; sul quadrato d'incrocio si innesta il tiburio tramite pennacchi con i busti clipeati dei Dottori della Chiesa.L'elaborazione del progetto viene ascritta alla collaborazione di architetti locali e stranieri, che potrebbe spiegare le diatribe iniziali, connesse alla mediazione e all'adattamento di un rigoroso impianto modulare di ispirazione nordica, forse della scuola boema dei Parler di Gmünd: un Parler svolse un ruolo fondamentale nella fabbrica dal 1392. Si ritiene che le fondamenta fossero poste in opera nel 1386 e che subito dopo fosse iniziata la costruzione del settore absidale; una prima fase costruttiva, identificata nella sagrestia aquilonare, evidenzierebbe l'utilizzo di materiale laterizio e l'applicazione di tecniche costruttive legate a un progetto anteriore a quello modificato nel 1392. Due disegni di Antonio di Vincenzo (Bologna, Arch. della Fabbriceria di S. Petronio) documentano la previsione di uno sviluppo più pronunciato del transetto a terminazione rettilinea, l'articolazione in alzato ad quadratum, l'innesto di un corridoio sotto le volte centrali, navate laterali organizzate come cappelle per un 'sistema di controspinta interna' (Romanini, 1964, I, p. 367), secondo un progetto di ambito parleriano, ancora in uso agli inizi degli anni novanta. Nel settembre del 1391 la chiamata di Gabriele Stornaloco era correlata alla necessità di verifiche al sistema di proporzionamento, che il matematico piacentino sosteneva dovesse essere impostato ad figuram triangularem, secondo un triangolo equilatero di 96 braccia di base e 83 di altezza; di contro, nel maggio del 1392 l'architetto Heinrich Parler di Gmünd criticava le discrepanze esecutive rispetto all'originario progetto ad quadratum. Prevalsero tuttavia il parere e l'esperienza dei maestri locali, che, con il consenso della Fabbrica, approvarono le variazioni già attuate, mentre veniva fissata l'altezza dei piloni e delle volte in 76 braccia. L'intervento di Giovannino de Grassi riguardò soprattutto la modulazione dei capitelli dei piloni e l'articolazione dei finestroni absidali - si identifica l'intervento del maestro nel primo capitello del deambulatorio - e segnò l'intensificazione della decorazione plastica. Dopo la scomparsa di Giovannino e di Giacomo da Campione, nel 1399 il cantiere fu scosso dalle critiche di Jean Mignot relative all'affidabilità statica della fabbrica e all'abbandono del sistema proporzionale basato sul triangolo equilatero; il cantiere vide quindi la ripresa dell'attività decorativa durante la direzione di Filippino degli Organi (1407-1448), mentre dalla metà del Quattrocento gli architetti cooptati dalla Fabbrica, Giovanni Solari e il figlio Guiniforte, furono impegnati soprattutto nella risoluzione del problema del tiburio e lavorarono a M. in S. Maria delle Grazie e in S. Pietro in Gessate, nel segno della fedeltà alle radici del Gotico lombard
Città dell'Italia settentrionale, situata nella pianura Padana, capoluogo della regione Lombardia.
Storia e urbanistica
Delle origini celtiche della città è giunta sino a oggi la forma latinizzata del nome, Mediolanum, esprimente un concetto di medietà (non è chiaro rispetto a che cosa), mentre una serie di reperti archeologici dei secc. 3° e 2° a.C. lascia intuire l'esistenza di un primitivo insediamento insubre (non necessariamente unitario e fortificato) nelle adiacenze dell'od. piazza del Duomo. Definitivamente passato sotto l'egemonia romana negli ultimi anni del sec. 2° a.C., l'abitato ricevette una sistemazione secondo assi ortogonali attorno al foro (od. piazza San Sepolcro), ancora in parte riconoscibile; l'impianto a scacchiera fu ben presto superato dal successivo sviluppo edilizio e probabilmente nella seconda metà del sec. 1° a.C. - come hanno accertato gli scavi archeologici - un'area urbana di ha 52 ca. venne per la prima volta circondata da solide mura, nelle quali si aprivano sei porte raccordate con la grande viabilità dell'Italia settentrionale.Nel 286 d.C., dopo la crisi che infierì nella seconda metà del sec. 3°, M. venne scelta come residenza dall'imperatore Massimiano. Le nuove funzioni portarono alla città un imponente accrescimento, che tra il 286 e il 305 rese necessario l'ampliamento della cerchia difensiva soprattutto verso E, dove si aprirono tre nuove porte; l'area intramuranea fu così elevata a ha 106 ca., con l'inclusione a N del circo, da poco tracciato, e dell'adiacente quartiere imperiale con la chiesa palatina di S. Lorenzo, mentre a S-E le mura inglobarono il poderoso complesso delle terme Erculee. Alla metà del sec. 4° la strada che portava verso Roma (od. corso di Porta Romana) venne prolungata all'esterno delle mura in una monumentale via porticata conclusa da un grandioso arco onorario. Nello stesso periodo, sotto il vescovado di s. Ambrogio (374-397), nacquero i primi e più importanti edifici di culto cristiani: la cattedrale dedicata al Salvatore (poi S. Tecla) con il battistero di S. Giovanni alle Fonti (presso l'od. duomo) e la corona di basiliche esterne alle mura, rispettivamente dedicate ai ss. Apostoli (poi S. Nazaro), ai Martiri (S. Ambrogio), alle Vergini (S. Simpliciano), al Salvatore (S. Dionigi, oggi scomparsa).Con il trasferimento della residenza imperiale a Ravenna (403) si aprì per M. un lungo periodo di crisi, entro il quale si inserirono i danneggiamenti provocati dall'incursione di Attila nel 452. La conquista ostrogota (489-494) e la guerra greco-gotica (535-553) comportarono a loro volta violenze e gravi distruzioni, soprattutto a causa dell'assedio e del successivo eccidio compiuto dal goto Uraia nel 539; i dati archeologici consentono di riferire a tale circostanza la demolizione della via porticata, poi restaurata e completata nel corso del 6° secolo. Dopo la vittoria bizantina le mura avrebbero nondimeno beneficiato di un restauro per iniziativa di Narsete. La conquista longobarda, se non provocò altri guasti, indusse il vescovo e numerose famiglie abbienti a migrare a Genova per molti decenni. L'abitato si restrinse prima ad aree limitate e si ebbe poi una "quasi completa cancellazione della città come realtà residenziale e demografica" (Scavi MM3, 1991, p. 357), ciò che potrebbe giustificare la scelta, fatta dai re longobardi, di stabilire la loro residenza in Pavia.Nel 613 Agilulfo datò dal palatium di M. un suo diploma e tre anni dopo, nel circo, Adaloaldo venne acclamato re: a quest'epoca sono quindi da attribuire i segni di ripresa documentati dagli scavi, poiché al tempo di re Liutprando (712-744) i Versus de Mediolano civitate esaltano la città, enfaticamente descritta come ancora racchiusa nelle mura massimianee, apparentemente intatte, nonostante le distruzioni dei secoli precedenti. Esse avrebbero poi subìto un ulteriore restauro per interessamento dell'arcivescovo Ansperto (868-881), opera di cui tuttavia mancano per ora prove materiali; nuovi guasti furono del resto provocati da un assedio dell'imperatore Lamberto nell'896.Grazie alla ricchezza e all'intraprendenza dei suoi arcivescovi la città riguadagnò prestigio durante l'età carolingia e ottoniana. Pur senza disporre di alcuna esplicita delega regia, i capi della Chiesa milanese esercitarono un potere politico che ne fece per qualche secolo, di fatto, gli arbitri della vita cittadina, toccando il vertice con la robusta personalità di Ariberto d'Intimiano (1018-1045). Essi misero a punto il rito ambrosiano e, oltre a governare l'ampia diocesi, estesero, in quanto metropoliti, la loro autorità su numerosi altri vescovadi dell'Italia settentrionale; inoltre disposero di amplissimi possessi e trattarono in modo diretto con gli imperatori, soppiantando le funzioni della capitale formalmente rimasta a Pavia. Fra i secc. 10° e 11° la potenza vescovile trovò una celebrazione nel Libellus de situ civitatis Mediolani, che cercò di attribuire alla cristianità milanese una dignità 'apostolica' non inferiore a quella romana. Legati ai vescovi, fiorirono alcuni monasteri urbani (primo fra tutti S. Ambrogio), la cui importanza economica si diffuse nell'intera area della metropoli milanese; intorno a essi si sviluppò dall'Alto Medioevo l'attività di numerosi negotiatores impegnati nel rifornimento della città, che, almeno dalla metà del sec. 10°, doveva ospitare un mercato, in corrispondenza dell'od. piazza del Duomo.Vere e proprie 'crisi di crescita' interessarono M. nell'età precomunale, manifestandosi prima nelle lotte intestine fra le classi dei milites e dei pedites e assumendo poi un contenuto religioso nel movimento della pataria rivolto contro il clero mondanizzato. Il vigore politico ed economico della società milanese trovò di lì a poco espressione nella nascita del Comune urbano, sanzionata dalla magistratura consolare, che compare per la prima volta nel 1097. Dai cronisti che narrano le lotte dell'età precomunale (Arnolfo di Milano, Landolfo Seniore, Andrea da Strumi) emerge l'immagine di una città capace di organizzare militarmente la propria popolazione partecipando a lunghe spedizioni e difendendosi contro gli eserciti imperiali che l'attaccavano. M. era ancora efficacemente protetta dalle mura e dalle torri della cerchia massimianea, il teatro romano era luogo di riunioni collettive e l''arco di porta Romana', residuo dell'antica via porticata, dovette adattarsi a funzioni difensive. La città continuò dunque a giovarsi dei monumenti tardoantichi sopravvissuti alle distruzioni; accanto a essi svolsero però un ruolo militare, nelle lotte interne, anche le nuove torri private urbane, che erano innanzitutto simbolo di prestigio: la crisi e lo spopolamento dell'Alto Medioevo erano definitivamente superati.La documentazione d'archivio dei secc. 10°-11° consente di rilevare un continuo flusso migratorio avviato dal contado verso la città; nello stesso tempo, l'acquisto di terre in campagna da parte dei cittadini testimonia un rapporto dialettico ininterrotto fra M. e il suo territorio. L'inurbamento è rilevabile, oltre che dall'aumento dei prezzi delle case, dalla loro crescita in altezza e dalla costruzione e ricostruzione di numerose chiese dentro e fuori dalle mura, in corrispondenza con il formarsi di sobborghi. Il gran numero di monete scoperto negli scavi conferma, anche per via archeologica, il momento di eccezionale vitalità.Liberatosi ben presto dal potere vescovile, il neonato Comune si scontrò con le città vicine che si opponevano alla sua affermazione: travolse Lodi (1111), conquistò Como (1127) e ripetutamente venne a conflitto con Pavia e con Cremona, puntando decisamente all'egemonia regionale. Le vittime dell'esplosiva espansione milanese sollecitarono l'intervento di Federico I, che si attuò poco dopo la metà del 12° secolo. Fu probabilmente nel 1156, di fronte alla minaccia imperiale, che la città provvide a rafforzare le sue difese secondo un progetto del famoso ingegnere militare Guintelmo (o Guintellino): venne allora allestito un fossato rafforzato da terrapieno e palizzata (tonimen) lungo un ampio tracciato anulare che rinserrò i sobborghi e sul quale sorsero nuove porte in asse con le più antiche.L'imperatore, con l'aiuto delle città italiane sue alleate, nel 1158 e poi nel 1162, finì per costringere il potente Comune a una duplice resa. In conseguenza della sconfitta la popolazione cittadina venne temporaneamente costretta a vivere in quattro borghi indifesi fuori del circuito urbano, mentre questo venne condannato a una sistematica distruzione. Lo stesso sovrano annunciò la sua vittoria affermando: "fossata complanamus, muros subvertimus, turres omnes destruimus ipsamque civitatem in ruinam et desolationem ponimus" (MGH. Dipl. reg. imp. Germ., X, 2, 1979, p. 192, doc. 351); ma l'antica cerchia romana, come attesta il cronista Ottone Morena nella Historia Frederici I, non poté essere annientata.Tra il 1162 e il 1171, con la creazione del fronte antisvevo che si stabilizzò poi nella Lega Lombarda, gli alleati di M. ricondussero gli esuli nella loro città e dal 1171 provvidero ai lavori di rifortificazione, celebrati in seguito nei bassorilievi di porta Romana (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). Il fossato e il terrapieno precedenti vennero ripristinati e furono allestite sette porte e dodici pusterle in muratura, le prime munite di norma di doppio fornice e di due torri laterali, le seconde di un solo fornice e di un'unica torre; di esse alcune sono giunte in tutto o in parte sino a oggi, di altre sono noti il sito e la struttura.La nuova cerchia difensiva racchiuse una superficie di ben ha 260, entro la quale si manifestarono gli sviluppi e le trasformazioni della piena età comunale. La Storia di Bernardino Corio ha tramandato notizia di un progetto di intervento urbanistico del 1228 (non si sa se poi effettivamente realizzato) che stabiliva di far convergere sul broletto - la nuova sede del Comune allora costruita - otto strade che si dipartivano da altrettante porte urbane.Al medesimo periodo sono probabilmente da attribuire le strutture edilizie sempre più complesse accertate dagli scavi archeologici: esse apparterrebbero perciò alla ricca e vivace città descritta nel 1288 dal De magnalibus Mediolani di Bonvesin da la Riva, circoscritta, entro ampio e profondo fossato, da terrapieno rivestito nella sua scarpata esterna da solido muro, e attraversato da porte e pusterle in muratura. Anche se quelle difese non rinserravano davvero, come l'autore vorrebbe, una popolazione di duecentomila abitanti, la M. di quel tempo era comunque la più grande città italiana tanto per superficie quanto per popolazione. Molti altri abitanti vivevano peraltro nei sobborghi già formatisi fuori delle fortificazioni e nelle numerose cassine periurbane, indizio, gli uni e le altre, di un organismo in continua crescita, di cui si ha conferma non dubbia anche attraverso la coeva documentazione d'archivio.All'interno della città si andavano occupando gli spazi rimasti sino ad allora inedificati, compreso l'apparato difensivo di età romana: a quest'epoca si deve perciò collocare la demolizione della cerchia massimianea, di cui è pervenuto solo un piccolo tratto presso il circo, nell'area occupata allora dal monastero Maggiore. L'incremento abitativo fu però evidente soprattutto nel suburbio, dove si manifestò attraverso la lottizzazione di vasti campi (braide) in possesso di alcuni monasteri, per fare posto a un'immigrazione spontanea di uomini (in generale di buona condizione economica) provenienti, oltre che dall'immediato contado, anche da alcune città limitrofe. È talora possibile verificare e integrare i dati forniti da Bonvesin anche in certi particolari edilizi e dell'arredo urbano, come i luoghi delle attività mercantili e artigianali e la presenza di piazze e di coperta (da intendersi come porticati e logge, nessuno dei quali è giunto integro sino a oggi); benché il De magnalibus Mediolani non ne faccia alcun cenno, non mancavano a M. le torri private, tipiche di tutte le città comunali italiane.Il fossato che circondava le fortificazioni aveva uno sviluppo di km 6 ca. e una larghezza di almeno m 18; esso era alimentato (come già avveniva in età romana) dai fiumi Seveso, Nirone e Olona defluenti nel Lambro attraverso la Vettabbia; all'inizio del sec. 13° esso venne collegato con il Ticino attraverso il naviglio Grande, assumendo così rilevante interesse anche come via di comunicazione. Altri importanti raccordi vennero realizzati nei secoli seguenti dando luogo alla c.d. cerchia dei navigli, che rimase in funzione anche quando le difese si spostarono su una posizione più esterna.A fronte della prosperità economica stanno nel Duecento le discordie intestine fra l'antica aristocrazia urbana e la Credenza di s. Ambrogio, espressione dei ceti produttivi; il perdurare delle lotte portò la città, dopo la metà del secolo, sotto il governo signorile, rappresentato prima dai Torriani e quindi, dopo il 1287, dai Visconti, che agivano come capitani del popolo. I primi tornarono ancora al potere dal 1302 al 1311, per cedere poi definitivamente il posto agli antagonisti. Dal 1330 i Visconti legittimarono l'esercizio del potere con il titolo di vicario imperiale; sotto di essi M., perdendo l'autonomia, acquistò in compenso la pace interna e realizzò le sue antiche ambizioni di supremazia regionale. Con Gian Galeazzo Visconti (1385-1402), anzi, i signori di M. aspirarono a imporre sull'intera Italia centrosettentrionale il loro dominio, sanzionato nel 1395 dal conseguimento del titolo ducale.Ridimensionato nelle sue aspirazioni dalla serrata opposizione degli altri grandi potentati della penisola e dalla prematura morte di Gian Galeazzo, il ducato visconteo si stabilizzò a dimensione regionale con Filippo Maria (1412-1447) e alla sua morte, dopo la breve parentesi della Repubblica ambrosiana (1447-1450), passò nelle mani di Francesco Sforza (1450-1466), fondatore di una dinastia che dominò per un cinquantennio (1450-1499), fino all'inizio dell'età moderna.Nei primi decenni del Trecento, sotto la signoria dei Visconti, venne messo a punto un nuovo fossato difensivo più esterno, il Redefossi, rafforzato in seguito da opere fortificatorie semipermanenti per cura di Azzone Visconti (1329-1339). Dal Redefossi presero origine, nel corso di quel secolo, due nuove vie d'acqua, il Ticinello e il naviglio Pavese (1365); sulle acque interne si vennero inoltre moltiplicando mulini e altre macchine idrauliche al servizio della città e delle sue attività manifatturiere in continuo incremento. Durante il terzo decennio del secolo la M. viscontea viene celebrata nelle cronache di Galvano Fiamma e per la prima volta schematicamente raffigurata mediante due cerchi concentrici che simboleggiano le sue cinte difensive; colpita, insieme con il resto dell'Europa occidentale, dalla grande pestilenza di metà secolo, non beneficiò di alcun notevole sviluppo urbano.I Visconti, nello spirito del governo signorile, intervennero sulle difese esterne e avviarono un piano edilizio di grande prestigio. La dimora dei signori si fissò inizialmente sul lato orientale dell'od. piazza del Duomo, nel sito della prima sede comunale, ma dal 1354 il potere sulla città venne diviso tra Bernabò Visconti (1354-1385) e il fratello Galeazzo II (1354-1378), ciascuno dei quali aspirava ad avere una propria residenza. Dopo il 1358 il primo allestì una 'cittadella' a cavallo delle mura meridionali, inglobando in un unico complesso fortificato porta Romana e porta Nuova. Dal 1368 fa riscontro, sul lato opposto della cerchia urbana, il grande quadrilatero di porta Giovia, sorto per iniziativa di Galeazzo, primo nucleo del futuro castello residenziale, cui lavorarono intensamente gli ultimi Visconti e poi gli Sforza. Nel 1386, per volere di Gian Galeazzo, iniziò la costruzione del nuovo grandioso duomo, i cui lavori si prolungarono per più secoli.
Architettura
La difficile ricomposizione dell'immagine urbana di M. altomedievale si appoggia alla lettura dei Versus de Mediolano civitate (post 738) e del Libellus de situ civitatis Mediolani (sec. 10°), mentre dall'approccio archeologico, pur sorretto negli ultimi decenni da nuove metodologie, si ricavano dati frammentari, che sono stati utilmente correlati ai risultati emersi da vecchie campagne di scavo.Porzioni consistenti delle mura tardoantiche dovevano essersi conservate nel corso dell'Alto Medioevo e la persistenza del circuito delle mura romane è ricordata dai Versus de Mediolano civitate secondo una formulazione elogiativa almeno in parte da riferire all'accentuazione retorica (Lusuardi Siena, 1986); l'apparecchiatura muraria con blocchi squadrati corrisponde tuttavia ai resti archeologicamente documentati al Carrobbio, al monastero Maggiore e a S. Maria d'Aurona. È stato anche evidenziato un sistema di rafforzamento con un muro più grosso in via S. Vito e in via delle Ore; l'integrazione con conci provenienti dall'anfiteatro segnala soltanto un termine post quem degli inizi del sec. 5° per questo tratto della cinta urbica. L'espansione sulle mura tardoantiche si documenta per il monastero e per la chiesa longobarda di S. Maria d'Aurona, per la cappella di S. Silvestro, per il settore sottostante la chiesa di S. Donnino alla Mazza, e, dall'età carolingia, per il monastero Maggiore, sorto tra le mura urbiche e la parete di fondo del circo; entro quest'ultimo complesso, che comprendeva un vasto brolo, una struttura riferibile all'età carolingia viene identificata nella sezione terminale, con una trifora su ogni lato, della torre quadrata di via Luini, forse in origine pertinente ai carceres del circo.Le fonti non forniscono indicazioni sugli edifici eretti in M. in anni prossimi all'arrivo dei Longobardi e nella prima età longobarda. Le fondazioni di una piccola abside dietro l'altare di S. Eustorgio e frammenti murari entro l'emiciclo absidale della chiesa attuale sono stati giudicati pertinenti al tempo di Eustorgio I (ca. 343-355) e di Eustorgio II (511-518). Tra i secc. 6° e 7° è stata datata la chiesa di S. Giovanni in Conca, un'aula rettangolare absidata, segnata all'esterno da robusti contrafforti rettangolari, una struttura sorta sull'area di una domus del sec. 3° in una zona interna alle mura repubblicane, ma forse abbandonata nel corso del 5° secolo. Incerta rimane la datazione del sacello cruciforme, documentato dallo scavo entro la chiesa di S. Maria la Rossa, all'esterno della città sulla via verso Pavia.Il tessuto urbano era comunque segnato da importanti edifici paleocristiani, sui quali i rifacimenti altomedievali si documentano in modo molto incerto.La cattedrale doppia aggregava, secondo una sequenza assiale, la grande chiesa paleocristiana, dedicata originariamente al Salvatore, e almeno dal sec. 8° a s. Tecla - scavata sotto l'od. piazza del Duomo da de Capitani D'Arzago (1952) e da Mirabella Roberti (1963) -, il battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti a E e la chiesa di S. Maria Maggiore, ubicata sotto il duomo attuale. S. Tecla è citata come chiesa aestiva solo a partire dall'879 nel testamento dell'arcivescovo Ansperto (Porro Lambertenghi, 1873, nr. 290), mentre la chiesa di S. Maria è ricordata come iemale soltanto nel 915 (Picard, 1988, pp. 98-99). Si discute se lo schema assiale ricalchi un assetto precedente, mentre dalla lettera di Ambrogio alla sorella Marcellina (Ep., I, 20; CSEL, LXXXII, 1982, pp. 108-125; de Capitani D'Arzago, 1952, pp. 166-168) si evince la contiguità della ecclesia maior, definita anche come nova, alla vetus, detta anche minor (poi S. Maria iemale), sottintendendone la precedenza nel tempo. Inoltre, se si identifica la vasca battesimale, ritrovata nel 1899 sotto la sagrestia aquilonare del duomo attuale, con quella del battistero di S. Stefano, ricordato agli inizi del sec. 6° da Ennodio (CSEL, VI, 1882, p. 160), si deve ritenere che tale struttura fosse connessa a un edificio chiesastico, forse la vetus precedente S. Maria iemale. La notizia della sua costruzione nell'836, riferita dagli Annales Mediolanenses minores, potrebbe indicare un rifacimento connesso alla vita comune del clero. Mentre la denominazione di minor potrebbe essere derivata da un'articolazione in tre navate della chiesa, tra i pochi dati relativi alla chiesa di S. Maria Maggiore, si ricordano il ritrovamento di settori murari, di colonnine e di pilastrini attorno allo scurolo, l'identificazione del diaframma trasversale, con semipilastri forse romanici, collocati in corrispondenza del terzo valico del duomo attuale; le riproduzioni della facciata, distrutta nel 1682, sembrano suggerire un rifacimento intorno al 1378, poco prima che Gian Galeazzo Visconti desse inizio alla nuova cattedrale. All'interno della basilica paleocristiana di S. Tecla, a cinque navate e transetto non emergente, eretta intorno alla metà del sec. 4° e modificata dopo le distruzioni di Attila, si documenta la presenza di numerose sepolture altomedievali, alcune delle quali dipinte. Danneggiata dagli incendi che toccarono M. nel 1071 e nel 1075, fu interessata da rimaneggiamenti che rispettarono l'impianto a cinque navate, comportarono la sostituzione di colonne paleocristiane con pilastri articolati, collegati da muri di fondazione continua, e la rifoderatura dell'abside maggiore post-attilana, affiancata da due absidi minori; incerta rimane la data dell'introduzione della cripta a oratorio, con abside arretrata rispetto all'emiciclo, che de Capitani D'Arzago (1952, p. 109) riteneva precedente l'intervento romanico. L'abbattimento della chiesa tra il 1461 e il 1462 consentiva al cantiere del nuovo duomo di procedere verso O e di ampliare la piazza antistante, affiancata sul lato nord da una struttura porticata, il 'coperto dei Figini'.È attestata la continuità della funzione cimiteriale per le aree contigue alle mura e all'esterno, attorno alle basiliche paleocristiane, è ricordata la costruzione di monasteri, oratori e strutture insediative di vario tipo, in genere scarsamente documentate dai ritrovamenti archeologici e di incerta cronologia. Il sacello addossato al muro perimetrale settentrionale di S. Ambrogio, dotato di abside a semicerchio oltrepassato e di pavimento in opus sectile bianco e nero, è stato datato tra i secc. 5°-6° e 7°-8° e ne è stato registrato l'abbandono già nel sec. 9°, ma sulla sua funzione originaria non sono emersi dati certi. Una domus della basilica apostolorum fu sede del tribunale presieduto dal conte Leone negli anni 820-840, e di una canonica e di un edificium casae rimane traccia in un frammento di epigrafe. All'importanza della basilica virginum, eretta da Ambrogio sulla via per Como, ma aperta al culto dal suo successore Simpliciano (m. nel 401), non si connette un sicuro rinnovamento altomedievale, non risultando in questo senso dirimente il rinvenimento di tegole con il marchio di Agilulfo (591-615/616) e del figlio Adaloaldo (616-625), correlabili anche a interventi di semplice manutenzione della copertura. Tuttavia, un rifacimento di S. Simpliciano, precedente quello del sec. 12°, si documenta sulle pareti laterali al di sopra delle volte, per le tracce di lesene connesse in origine a un numero doppio di sostegni rispetto a quello della ristrutturazione romanica: si configura un assetto con copertura a tetto, variamente datato all'età longobarda o al primo 11° secolo. Scavi recenti hanno prospettato l'ipotesi di una tripartizione dell'invaso e dell'innalzamento del livello pavimentale in opus sectile in età longobarda; non si documenta alcun intervento edilizio in relazione all'istituzione di un monastero nell'881.Tra gli edifici eretti in M. nel corso del sec. 8° si ricorda la chiesa di S. Benedetto, fatta costruire dal vescovo Benedetto nel 703, mentre tra sec. 7° e 8° sono stati datati i resti delle fondazioni di S. Romano presso S. Babila. La storiografia milanese tardomedievale connette le vicende costruttive della chiesa e del monastero di S. Maria d'Aurona all'arcivescovo Teodoro II e alla presunta sorella Aurona intorno al 740. Il ritrovamento ottocentesco di importanti elementi del dettaglio architettonico e dell'arredo liturgico si integra con la pianta pubblicata da de Capitani D'Arzago (1944) per restituire la nozione di un'aula unica a terminazione orientale tripartita, con una nicchia centrale a semicerchio oltrepassato e due laterali rettangolari, saldata a un atrio quadrato: una planimetria di origine discussa, attestata da altre cappelle, soprattutto dell'arco alpino, che non sembrano tuttavia anteriori al tardo 8° secolo.L'istituzione, presso la basilica di S. Ambrogio, di un monastero benedettino, ricordato in due documenti del 784 e del 789 (Il Museo diplomatico, 1971, nrr. 28, 30), viene tradizionalmente considerata un termine post quem per l'erezione del campanile 'dei monaci', contiguo al lato sud della chiesa e datato da Arslan (1954a) al sec. 9°; sulle pareti lisce, la successione dei piani è segnata da monofore, apparecchiate con una tecnica simile a quella del Westwerk di Corvey, mentre la cella campanaria era in antico contrassegnata da bifore, ancora evidenti all'interno del quinto piano, ma chiuse in età romanica per la sopraelevazione della torre. Tracce di interventi del tempo dell'arcivescovo Tomaso nel 780 sono state identificate nella cripta di S. Calimero, mentre nella seconda metà del sec. 8° si ricordano il monastero di S. Salvatore e nell'806 un oratorium di S. Vincenzo in Prato. Intorno all'813 venne fondata la chiesa di S. Maria al Circo, nell'856 la chiesa di S. Maria Fulcorina e nell'871 un'altra chiesa dedicata alla Vergine, detta in seguito S. Maria Podone; tra i monasteri si ricordano S. Protaso, S. Maria del Gisone, S. Maria di Vigelinda.L'attività costruttiva promossa dall'arcivescovo Ansperto (868-881) viene menzionata nel suo epitaffio, conservato in S. Ambrogio: se risulta impossibile riconoscere strutture murarie altomedievali entro l'atrio della basilica ambrosiana e nulla si sa della casa di Stilicone, mancano dati sicuri sul restauro delle mura promosso da Ansperto e incerti rimangono sia lo sviluppo sia la valutazione dei frammenti dell'area dell'arcivescovado, includenti alla base sarcofagi riempiti di malta e pietrame, come nelle fondazioni della cappella di S. Lino in S. Nazaro del sec. 10°; si connette alla committenza del presule la cappella dei Ss. Satiro, Silvestro e Ambrogio, od. cappella della Pietà, adiacente alla chiesa bramantesca di S. Maria presso S. Satiro. Entro l'impianto a croce greca, inscritta entro un quadrato, la campata centrale quadrata più elevata è connessa a quattro colonne raccordate a volte a botte, più basse, sulle campate laterali e a volte a penetrazione sui settori angolari, mentre il perimetro è scandito dalla sequenza di nicchie semicircolari di diversa ampiezza. La struttura architettonica implica il riferimento ai martyria armeni o georgiani o a un prototipo bizantino, che poteva avere ispirato anche la chiesa palatina eretta da Basilio I il Macedone (867-886) e consacrata nell'881; il confronto con l'assetto planimetrico dell'oratorio di Germigny-des-Prés (dip. Loiret) evidenzia l'espansione del settore centrale e la contrazione delle risoluzioni angolari. Sono stati identificati resti del sec. 9°-10° della chiesa di S. Vittore al Corpo, ricordata dal sec. 8°, contigui all'antico ottagono di S. Gregorio, mausoleo di Massimiano utilizzato per Valentiniano II (383-392); la vicina chiesa di S. Martino ad corpus si documenta dall'11° secolo.Nel sec. 10° l'attività costruttiva è attestata da scarsissime testimonianze, tra cui si ricorda la cappella di S. Lino presso S. Nazaro, eretta dall'arcivescovo Arderico (936-948), quasi una riformulazione semplificata dell'oratorio di S. Satiro: l'invaso quadrato e absidato è coperto da volta a crociera, raccordata ad arcate impostate su risalti angolari, entro cui si aprono brevi nicchie semicircolari.Tra sec. 10° e 11° la risentita affermazione del potere episcopale che caratterizzava le città dell'Italia settentrionale si concretizzò a M. in parallelo con l'affermazione della preminenza della Chiesa ambrosiana su quelle dell'Italia settentrionale, incrementando quindi il processo di identificazione della città con il suo vescovo. Nell'arco di trent'anni i vescovi Landolfo II (992-998), Arnolfo II (998-1018) e Ariberto (1018-1045) fecero erigere tre monasteri, S. Celso, S. Vittore e S. Dionigi, di cui non rimane tuttavia alcuna traccia architettonica.Il rinnovamento del settore orientale della basilica di S. Ambrogio viene annoverato tra le prime sperimentazioni del linguaggio romanico, ma la sua datazione rappresenta di fatto un problema critico aperto, che comporta l'oscillazione della cronologia tra la seconda metà del 10° e gli inizi dell'11° secolo. L'addizione all'impianto basilicale paleocristiano di un coro tripartito, sopraelevato sulla cripta e triabsidato - con una campata centrale voltata a botte e due campatelle laterali voltate a crociera -, è improntata a un sostanziale rispetto per l'antico luogo delle reliquie e si concretizza probabilmente in concomitanza con la rielaborazione del ciborio e del ricco apparato decorativo. In parallelo, un nuovo sistema di articolazione della parete muraria correla la sequenza degli archetti pensili al profilo delle nicchie a fornice, sentite anche come un fatto strutturale, in funzione di alleggerimento della parete muraria; il sistema dei fornici facilita inoltre l'adesione dell'estradosso del semicatino alla copertura esterna, secondo un procedimento che Landriani (1889) documenta anche per la botte del coro e che anticipa la sperimentazione più tardi correlata alla formulazione della volta a crociera e soprattutto dei tiburi. La casistica lombarda ed europea evidenzia il ruolo egemone di M. nell'elaborazione del tema dei fornici, anche come unificante connotato linguistico da valutare attraverso la ricomposizione di un apparato di varianti che giungono fino al sec. 12°, in connessione con assetti strutturali differenziati: per es. l'abside di S. Eustorgio, S. Calimero, S. Vincenzo in Prato, S. Vittore al Corpo, S. Babila, S. Giovanni in Conca, S. Celso, S. Nazaro.Nel corso del sec. 11°, tra le testimonianze che documentano a M. la concreta determinazione del lessico architettonico romanico si evidenzia l'introduzione della cripta a oratorio, sia in connessione con un assetto di coro di tipo ambrosiano voltato a botte, come ad Agliate nel contado milanese, sia in emicicli altomedievali come in S. Giovanni in Conca - di cui la cripta rimane come unico elemento superstite -, sia in chiese che direttamente aggregano l'abside al corpo longitudinale, come S. Vincenzo in Prato, un edificio connesso alla tradizione paleocristiana anche per l'utilizzo delle colonne a tripartire l'invaso interno e per la tipologia delle grandi finestre a spalle dritte. Difficile precisare il ruolo della riforma e delle esigenze liturgiche legate alla vita comune del clero, che si è ipotizzato (Cattaneo, 1975) potrebbero avere motivato, tra l'altro, la diffusione della cripta a oratorio in area milanese. Senza forzare il ruolo della riforma in relazione a programmi costruttivi che per l'area milanese non si appoggiano a concrete testimonianze monumentali, Cattaneo (1975, p. 54) ricordava che l'affermazione di una tendenza a differenziare l'area cultuale presbiteriale è documentata dalla canonica fondata da s. Arialdo nel 1062: quel "corus alti curcumdatione muri concluditur, in quo ostium ponitur" (Andrea da Strumi, Vita s. Arialdi) è stato avvicinato al coro profondo di S. Paolo a Mantova tra il 1057 e il 1086, ma è stato citato anche il frazionamento trasversale di S. Maria Gualtieri. Segnali di una prima fase dell'elaborazione del linguaggio romanico sono stati identificati nei primi due pilastri orientali, documentati archeologicamente, della chiesa di S. Eustorgio, di sezione rettangolare, con una lesena aggregata verso le navatelle laterali. Tali resti sono stati connessi a un sistema di arcate trasversali sottese alla copertura a capriate.Incerta rimane la formulazione della chiesa che Benedetto Rozone e la moglie Ferlenda dedicarono alla Trinità nel 1036 in un'area in antico corrispondente al foro e nel Medioevo occupata dalla zecca; allo scadere del secolo, di ritorno dalla prima crociata, Benedetto Rozone di Corticella, pronipote del fondatore, ampliò o riedificò la chiesa con una dedicazione al Santo Sepolcro. L'assimilazione all'omonima basilica gerosolimitana sarebbe dichiarata anche dall'analogia tra la piazza antistante la chiesa, lievemente rialzata, e il monte Sinai. La terminazione orientale triconca e l'aggregazione verso O di due torri, che, insieme con l'estensione della cripta, avevano motivato l'interesse di Leonardo, presuppongono legami con l'architettura d'Oltralpe.Sullo scorcio del sec. 11°, un assetto politico e sociale, che garantiva attorno al consolato la coesione istituzionale e l'unità della città, incrementò il fervore ricostruttivo, che non toccò soltanto le chiese distrutte dagli incendi del 1071 e del 1075; Arnolfo di Milano (Gesta archiepiscoporum Mediolanensium) specificamente menziona S. Tecla, S. Maria, S. Lorenzo, S. Nazaro e S. Stefano. Ripercorrere le tappe di questa vicenda costruttiva non è facile sia per la scarsità degli episodi sicuramente documentati dalle fonti sia per la complessità dei problemi dibattuti dai costruttori milanesi e lombardi attorno alla configurazione della campata voltata, scandita da pilastri articolati in sequenza uniforme o alternata. Deve essere sottolineato piuttosto il carattere sperimentale di alcune empiriche risoluzioni dei costruttori lombardi, e soprattutto milanesi, anche in relazione al problema dell'introduzione di una dinamica spaziale innovativa entro sistemi costruttivi tardoantichi, secondo premesse e implicazioni diversificate e certamente con esiti non a fondo indagati.A S. Ambrogio il meccanismo compositivo della campata alternata si applica a un assetto longitudinale che ricalca l'impianto della chiesa antica, sia nel dimensionamento sia nell'allineamento dei sostegni, mentre la divaricazione delle pareti nel settore occidentale favorisce la connessione con il quadriportico; risulta invece difficile verificare i riferimenti tra la chiesa antica e quella attuale per un tema qualificante del S. Ambrogio romanico come il matroneo, poiché, come è noto, l'ipotesi di Verzone (1974) circa la presenza di matronei nella chiesa paleocristiana si basava su osservazioni relative all'arcata trionfale, danneggiata anche dagli eventi bellici. La nuova dinamica spaziale si concretizza nella chiesa ambrosiana attraverso l'introduzione, in sequenza alternata, dei possenti pilastri polistili e delle volte a crociera costolonate; si tratta di volte molto rialzate in chiave, quasi pseudo-crociere a cupola costolonate, che richiesero probabilmente l'applicazione, sull'estradosso, di voltine sussidiarie, a mediare l'adesione delle falde della copertura, secondo un procedimento che si documenta in altre chiese lombarde a sistema alternato, e specificamente in S. Savino a Piacenza, S. Michele e S. Giovanni in Borgo a Pavia. La parete, nel settore corrispondente all'unità modulare della campata centrale, evidenzia la serrata concatenazione tra il profilo delle volte e la successione duplicata delle arcate, connesse all'articolazione dei matronei. La luce, filtrata dai grandi finestroni aperti sulla loggia, acquista il valore di elemento unificante nella scansione pausata di comparti modulari voltati, mentre a E la cupola ottagonale, introdotta senza la giustapposizione di un corpo trasversale, sottolinea l'importanza dell'altare e delle reliquie ambrosiane. La ricostruzione della basilica fu avviata probabilmente verso lo scadere del sec. 11° e, in assenza di sicuri appigli cronologici, qualche indizio potrebbe essere dedotto dal campanile dei canonici - "noviter in eadem Ecclesia fundatum et in maxima parte aedificatum" nel 1128 (Giulini, 1760, VII, p. 92; Porter, 1915-1917, II, pp. 556-560) - se fosse stato chiarito il nodo dell'adesione tra le due strutture.Nella chiesa di S. Lorenzo una campagna di lavori si rese necessaria dopo gli incendi del 1071 e del 1075 e per il susseguirsi di eventi nefasti fino al 1124; tra questi è stato annoverato anche il terremoto del 1117. È probabile che i danni subìti dalla struttura tardoantica non fossero irreparabili e che l'opera dei costruttori romanici sia stata finalizzata al consolidamento della copertura originaria e all'approntamento all'esterno di un tiburio piuttosto che a un'integrale ricostruzione. Il disegno cinquecentesco, precedente la ricostruzione del 1574, configura la possibile 'ritessitura' della struttura tardoantica attraverso il lessico architettonico romanico: se le torri angolari, parzialmente integrate e decorate con il partito degli archetti pensili, furono connesse al corpo centrale con archi rampanti, la configurazione del tiburio attraverso la doppia galleria e la cornice ad archetti pensili ricalca cadenze tipiche del Romanico lombardo, mentre all'interno i pilastri sono legati al ballatoio del matroneo da un sottile saliente e da una cornice ad archetti pensili, come sulla parete di S. Ambrogio.La ristrutturazione romanica della chiesa di S. Nazaro si consolida sull'assetto della chiesa paleocristiana, inglobandone, oltre che la planimetria, sostanziali porzioni dell'articolazione in alzato. Entro l'involucro spaziale antico, l'introduzione delle volte a crociera costolonate si connette alle pareti laterali attraverso semipilastri, quindi attraverso un meccanismo compositivo più semplice di quello di S. Ambrogio. Lo stesso criterio di armonica rivitalizzazione dell'invaso paleocristiano si registra nell'aggregazione del transetto, caratterizzato in origine da un diverso assetto proporzionale e soprattutto da un dislivello volumetrico problematico per le risoluzioni del sistema voltato: i bracci trasversali, in antico quasi vani subordinati, sono riplasmati attraverso l'espansione delle absidi, che accentuano la forma esterna cruciforme, e sono legati al vano centrale con l'integrazione della cupola, innervata da quattro arcate unitarie, quelle longitudinali sovrapposte allo sviluppo degli arconi antichi.S. Maria d'Aurona attesta che il tessuto architettonico, forse di età longobarda, poteva essere coordinato alla spazialità romanica anche in riferimento al sistema uniforme, e non soltanto a quello alternato di S. Ambrogio: la tripartizione del vano viene realizzata con la dislocazione dei pilastri articolati in corrispondenza dei settori di giunzione tra le absidiole. Se le dimensioni anguste dell'invaso condizionarono la successione omogenea di campate pressoché quadrate al centro e rettangolari ai lati, sembra plausibile che una delle prime sperimentazioni per l'applicazione della volta a crociera anche alla navata centrale possa essere riferita a una chiesa di piccole dimensioni, in anni forse anteriori alla fine dell'11° secolo.La scansione a tre navate per una successione uniforme di tre campate caratterizza anche la chiesa di S. Babila, fondata dal chierico Nazaro Muricola nel 1096 e già in funzione nel 1099; forse entro il primo venticinquennio del sec. 12° la chiesa fu dotata di una copertura a volte a crociera sulle navate laterali e a botte sulla navata centrale, anche se la formulazione dei sostegni, non sistematizzata in riferimento alla ricaduta del sistema voltato, ha indotto alcuni critici a ipotizzare la previsione di volte a crociera anche sulla navata centrale. Tra la sezione dei sostegni e la tipologia delle volte si registrano spesso incongruenze, interpretate come indizi di una sperimentazione in atto sul problema dell'applicazione delle volte a campate di grosse dimensioni o come segnali di rigide fasi costruttive intermedie o di trapassi troppo schematici da sequenze uniformi a campate alternate coperte a botte o a crociera: costante rimane comunque in ambito milanese l'articolazione in alzato su due livelli, mentre la previsione del matroneo risulta limitata, stando alle testimonianze superstiti, a S. Ambrogio e a S. Lorenzo. La stretta connessione con l'ambiente milanese della chiesa di S. Sigismondo a Rivolta d'Adda (prov. Cremona), consacrata nel 1096, ma eretta nei primi due decenni del sec. 12°, si evidenzia nelle prime due campate orientali uniformi, coperte a botte come in S. Babila, mentre nelle due successive campate l'alternanza del sistema e l'introduzione di volte costolonate, molto rialzate in chiave, dichiarano la connessione con la navata di S. Ambrogio. Anche a S. Celso l'impianto basilicale a tre navate, scandite in sequenza alternata, ricordava Rivolta d'Adda, mentre il riferimento alla basilica ambrosiana era esplicitato dalla tipologia dei sostegni e dall'apparato decorativo.L'applicazione del sistema alternato ambrosiano era proposta con due sole campate centrali, precedute da un coro rettangolare, nella chiesa di S. Giorgio al Palazzo, ubicata presso il palazzo Imperiale e consacrata da Anselmo V nel 1129; nel priorato cluniacense di S. Maria Assunta di Calvenzano presso Caselle Lurani, strettamente connesso a una donazione dell'arcivescovo di M., l'articolazione in tre navate sembra derivata dalla riduzione del tracciato planimetrico di S. Ambrogio secondo una formula che ricalca quella di S. Giorgio al Palazzo; alla chiesa ambrosiana rinviano anche l'articolazione parietale esterna, l'assetto del coro e delle campate alternate, la formulazione dei pilastri, la cui articolazione si riconnette tuttavia alla graduazione dei profili delle arcate piuttosto che alla configurazione del sistema voltato.Entro la chiesa di S. Stefano, ubicata vicino all'omonima pusterla, la scansione di campate centrali oblunghe e laterali quadrate configurava un sistema uniforme, con pilastri articolati connessi a volte a crociera costolonate, mentre alla facciata aderiva un nartece a cinque campate. La successione di campate uniformi di S. Eustorgio è invece frutto di diverse fasi costruttive che rispettarono il preesistente sistema di dimensionamento nel rapporto 2,5:1 tra navata centrale e laterali e nell'allineamento dei pilastri a tau, dilatandone gli interassi; se non è stata ancora chiarita la progressione dei lavori, si può ipotizzare che fossero in prima istanza interessate le prime quattro campate occidentali, cui seguì l'introduzione di un sistema alternato con pilastri forti, simili a quelli di S. Ambrogio, e piloni circolari.Nel tardo sec. 12° l'invaso longitudinale e il transetto di S. Simpliciano furono divisi in tre navate coperte da volte a crociera impostate alla stessa altezza, a configurare un'articolazione definita 'a sala'; nel contempo furono chiuse le grandi monofore paleocristiane, fu eretto il campanile e furono modificate l'abside e la facciata, arricchita di un'importante decorazione plastica.Nel corso del sec. 12°, il ruolo degli ordini monastici come mediatori di relazioni di raggio europeo è stato sottolineato, per M. e l'area lombarda, soprattutto in riferimento alla contestualità cistercense. La prima fase costruttiva di Chiaravalle Milanese, tra il 1138 e il 1150 ca., segnò il distacco dalla locale tradizione tardoromanica e incise sulle più importanti imprese costruttive del tardo sec. 12°: stretti legami, quasi radici linguistiche unitarie, dell'esperienza cistercense e di quella comunale si identificano nell'organizzazione modulare dello spazio e nel "rivoluzionante uso della linea retta come unico elemento generatore, così delle piante e degli alzati, come della loro resa figurativa" (Romanini, 1968, p. 13).Le devastazioni di Federico Barbarossa incisero pesantemente sul tessuto urbano e distrussero il sistema difensivo - fossati, terrapieni muniti di palizzate e porte provvisorie in asse con quelle della cerchia massimianea - messo a punto tra il 1156 e il 1160 dall'ingegnere militare Guintellino (o Guintelmo) e già comprensivo di nuovi quartieri sviluppati a ridosso delle mura romane. L'erezione della nuova cinta muraria fu iniziata nel 1171 secondo un progetto unitario, portato a termine in fasi successive, a opera forse di maestranze differenziate. Due lapidi, in origine infisse sulla porta Romana (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica), ricordano il ritorno dei Milanesi in città, l'inizio della costruzione delle porte e delle torri, i nomi dei consoli, dell'architetto Girardus de Mastegnianega e dei supervisori ai lavori. Si è molto discusso sulla formulazione della cerchia difensiva del sec. 12°, che era probabilmente costituita da un profondo fossato delimitato all'esterno da sponda muraria e verso l'interno da un terrapieno, mentre in muratura erano sicuramente le porte affiancate da torri; al tempo di Azzone quindi il terrapieno sarebbe stato sostituito da una cortina muraria vera e propria e le torri, rimaste incomplete, sarebbero state innalzate. La scansione a fornici e la modulazione del raffinato paramento lapideo evidenziavano la novità strutturale e formale delle porte del sec. 12°, "archi di trionfo latini tradotti in lingua gotica" (Romanini, 1989, p. 29), segnali celebrativi dell'autonomia e della potenza del Comune milanese, anche attraverso la connessione con la tipologia delle antiche porte urbiche. Nella porta Nuova, a due fornici coperti da volta a botte tra due torri quadrate, sporgenti verso l'esterno della città, il rivestimento a blocchi alternati di serizzo grigio e bianco, alcuni dei quali di origine romana, evidenzia il lucido disegno strutturale delle arcate - verso l'esterno a pieno centro con ghiera a sesto ribassato e verso la città a sesto ribassato - connesse attraverso cornici modanate a semipilastri laterali e a un pilastro centrale. La stessa formulazione caratterizza la porta Ticinese, a un solo fornice, e, con la variante dell'arco ogivale, la pusterla di S. Ambrogio, eccezionalmente a due fornici, e quella dei Fabbri; quest'ultima si caratterizza per la raffinata elaborazione dei dettagli architettonici, facendo ipotizzare una fase più matura. Tangenze stilistiche e formali tra l'arte cistercense e quella comunale sono già state evidenziate da Romanini (1964; 1968), che ha di recente (Romanini, 1989) sottolineato l'importanza dell'esperienza bernardina, sia in relazione al tracciato modulare sia alle singole risoluzioni costruttive e formali dell'arte comunale, specificamente per la cinta muraria e per le porte milanesi: elementi qualificanti della struttura e del dettaglio architettonico, articolati sulla base di un'elaborazione quasi modulare, farebbero pensare a maestranze cistercensi.Mentre nel sec. 12° i magistrati cittadini si adunavano nel broletto Vecchio, attiguo al palazzo Arcivescovile, a segnalare la connessione che in origine legava l'istituzione comunale al vescovo, la costruzione del broletto Nuovo si documenta nel 1228 entro il nucleo più antico della città e in relazione alla configurazione centrica di una grande piazza, scandita da edifici porticati e dalla convergenza di strade di collegamento alle principali porte cittadine; i lavori procedettero speditamente - nel 1230 i consoli poterono emettere le loro sentenze al suo interno - e furono conclusi nel 1233, come ricorda l'iscrizione sottostante la statua equestre del podestà Oldrado da Tresseno, che fronteggia la piazza dei Mercanti. L'edificio, di pianta rettangolare, si compone di due vani equivalenti, collegati da scale esterne: un piano inferiore aperto e porticato, scandito longitudinalmente in due navate da pilastri in pietra - ceppo e serizzo -, e una sala superiore unitaria, illuminata da trifore entro arcate. L'essenzialità lineare della superficie esterna in cotto, incisa dalla sequenza delle trifore secondo cadenze di pura sostanza gotica, si connette al limpido assetto distributivo del broletto Nuovo, concreto simbolo della identità e della potenza del Comune.In Lombardia, l'importanza dei Cistercensi in riferimento alla determinazione di razionali congegni progettuali trova precisi riscontri non solo nelle architetture civili, ma anche nelle testimonianze degli Umiliati e dei Mendicanti, promuovendo l'avvio di direttive di ricerca che configurano la nuova lingua gotica. Gli edifici degli Umiliati sarebbero stati "non tanto esemplati sul modello quanto piuttosto elaborati alla scuola se non addirittura direttamente a opera della grangia cistercense" (Romanini, 1989, p. 38), a partire dal più antico insediamento di Viboldone. Mentre le chiese extraurbane di S. Lorenzo in Monluè e di Mirasole sono semplici aule uniche a terminazione perimetrale rettilinea, nel lucido tracciato lineare di S. Maria di Brera, eretta a partire dal 1230 ca., l'assetto distributivo a tre navate si caratterizza per la limpida successione dei piloni cilindrici, sottolineata dal contenimento dell'abside centrale entro il muro orientale rettilineo, mentre si ipotizzano un alzato 'a sala' e una concatenazione alternata delle campate, quelle laterali coperte da volte a crociera archiacute con costoloni torici.L'avvio della chiesa di S. Marco, ubicata verso N, sulla via verso Como, è stato attribuito (La chiesa e il convento di S. Marco, 1987) agli Zambonini, gruppo di penitenti seguaci della Regola di s. Agostino, tra la fine del sec. 12° e gli inizi del 13°, e resti della prima fase costruttiva sono identificabili in una struttura già orientata corrispondente al braccio meridionale del transetto attuale. Dopo il 1254, un importante ampliamento, operato da Lanfranco Settala, generale dell'Ordine degli Agostiniani, determinò l'apertura di cappelle sul transetto sud e l'espansione del braccio corrispondente verso N, la costruzione del coro e del corpo longitudinale tripartito e voltato fino al quarto pilastro; nella rielaborazione trecentesca fu ampliato il coro con un'abside poligonale, furono prolungate le navate dotate di copertura a capriate e, forse già dal primo Trecento, furono aperte cappelle sul lato sud, mentre il campanile del 1290 presenta una formulazione tipicamente lombarda.I Domenicani e i Francescani si stanziarono a M. presso chiese preesistenti, riplasmate attraverso rielaborazioni di sapore fortemente innovativo. La presenza dei Domenicani presso la chiesa di S. Eustorgio tra il 1216 e il 1220 e il successivo impulso, seguito all'assassinio di s. Pietro Martire nel 1252, comportarono il rifacimento della chiesa romanica, scandita in campate uniformi dotate di volte a crociera impostate alla stessa altezza per la configurazione di un unitario alzato 'a sala', destinato a incidere sul contesto costruttivo lombardo; in seguito la chiesa fu ampliata con un transetto meridionale e con l'apertura di cappelle sul lato sud, mentre tra il 1297 e il 1309 fu eretto il campanile. Si conservano brani dell'abside della chiesa duecentesca, a navata unica, del monastero di S. Maria della Vittoria, sede di monache agostiniane, poi legate alla Regola di s. Domenico e alla chiesa di S. Eustorgio.La presenza dei Francescani è documentata a M. in un testamento del 1224 (Alberzoni, 1983a, p. 63) presso la chiesa di S. Vittore all'Olmo, non lontano dal monastero di S. Vittore al Corpo, all'esterno delle mura. Nel 1230 i Francescani si insediarono in città presso le basiliche di S. Nabore e S. Ambrogio e nel 1233 iniziarono la loro chiesa, che verso il 1256 fu aggregata alla basilica naboriana, mantenendo di quest'ultima anche la titolazione; da lasciti documentari si deduce che intorno al 1270 la costruzione e la copertura della chiesa non erano concluse. Nell'addizione di campate voltate all'invaso preesistente, forse coperto a tetto, si applicava un procedimento costruttivo riqualificante e drammaticamente orchestrato, destinato a incidere sull'architettura dell'Ordine in ambito lombardo. Mentre è incerta l'esistenza di un convento francescano presso la chiesa di S. Gottardo, va ricordata nel 1223-1224 la presenza delle Clarisse presso la chiesa di S. Apollinare, sita oltre porta Romana accanto alla pusterla di S. Eufemia; l'articolazione della chiesa di Pozzuolo Martesana, ricordata nel testamento del 1295 del cardinale Pietro Peregrosso (Alberzoni, 1983b, p. 73), può essere assimilata alla tipologia semplificata delle 'chiese-fienile', per la declinazione ad aula unica aggregata a un coro rettilineo con due cappelle laterali emergenti a modo di transetto.Nel tardo sec. 13°, la rielaborazione della chiesa di S. Giovanni in Conca, rispettosa dell'abside e della sottostante cripta romanica, fu attuata in forme tipiche del Gotico milanese e lombardo attraverso l'alleggerimento della massa muraria e la scansione semplificata degli elementi strutturali, connessi alla definizione pittorica della parete. L'invaso paleocristiano, tripartito con piloni cilindrici per una successione omogenea di quattro campate, era scandito da un'articolazione 'a sala' attraverso una copertura a tetto sulla navata centrale e a volte sulle laterali, mentre sulla campata orientale pilastri articolati reggevano un tiburio, corrispondente a una fase costruttiva successiva; la modulazione della facciata a vento, con definizione policroma delle membrature, venne ripresa nel corso del Trecento secondo un assetto in genere contrassegnato da un più pronunciato verticalismo e dalla dilatazione delle aperture. Con l'inizio del dominio visconteo, il linguaggio architettonico è segnato da apporti esterni al contesto locale.La cappella ducale di S. Gottardo in Corte, eretta per ordine di Azzone Visconti nel 1336, sotto la direzione del cremonese Francesco de' Pegorari, era un'aula rettangolare lunga e stretta, scandita in tre campate da contrafforti connessi a frontoni cuspidati e pinnacoli, di sottile e pittorica modulazione; anche nella facciata si attuava "la semplificazione delle linee architettoniche riportate in superficie quali limiti di zone cromatiche" (Romanini, 1955a, p. 646) che caratterizza tutto il Trecento milanese e lombardo, ma che nel contempo dichiara la connessione con il contesto cremonese. Le stesse coordinate linguistiche segnano l'abside poligonale e la torre, nella quale l'architetto volle apporre la sua firma: il confronto con il tiburio di Chiaravalle Milanese e il coronamento del Torrazzo di Cremona evidenzia lo slancio verticale più insistito e la più compatta modulazione cromatica delle superfici.Una delle prime attestazioni della penetrazione di accenti toscani in area milanese è rappresentata dalla loggia degli Osii, a due ordini di logge sovrapposte e arcate acute, fondata nel 1316 per impulso di Matteo Visconti, che ne affidò l'esecuzione a Scoto di San Gimignano: essa costituiva, insieme con il 'portico dei Banchieri' eretto da Azzone nel 1336, il lato meridionale della piazza antistante al broletto Nuovo. In essa, la risoluzione dei volumi entro il piano di superficie, con marginature sottilmente linearistiche, è declinata in relazione a una tessitura parietale in marmo a bande orizzontali bianche e nere, rara nelle strutture civili milanesi di età gotica. Un momento significativo dell'architettura civile trecentesca, prototipo dei castelli lombardi di fondazione viscontea, si identifica nei resti del palazzo di Azzone Visconti, eretto intorno al 1336; dalle strutture emerse all'interno del complesso di Giuseppe Piermarini si ricostruisce l'impianto quadrato, aperto sul cortile interno, ritmato da portico ad arcate acute e sovrastante loggia.Cadenze toscane, mediate dall'arrivo di Giotto nel 1334-1335 e di Giovanni di Balduccio nel 1334, segnano l'architettura milanese della seconda metà del sec. 14° a partire dalla fronte di S. Maria di Brera, nella quale l'artista pisano firmava nel 1347 il portale. La facciata, a fasce orizzontali in marmo bianco e nero scandite da quattro contrafforti, era arricchita della presenza di sculture e modulata da bifore e da trifore, mentre il portale, dotato di piedritti e archivolti modanati, era sormontato da una ghimberga con un rosone e tre tondi. L'influsso della facciata di S. Maria di Brera, quasi un'impaginatura plastica a sé stante, è presente nella produzione dei maestri campionesi e in edifici di ambito milanese e lombardo: basti citare la parrocchiale di Bellano (prov. Como), la facciata dell'abbaziale di Viboldone, del 1348, la facciata di S. Maria in Strata e del duomo di Monza.La tendenza a riportare verso il piano di superficie la scansione delle membrature architettoniche, presente anche nel fianco meridionale di S. Eustorgio, motiva la fortuna del linguaggio essenzialmente decorativo di Giovanni di Balduccio e dei maestri campionesi nella capitale lombarda, ma non oblitera la declinazione di impianti 'a sala' di vigorosa risonanza architettonica. Queste due linee di tendenza si registrano in alcune chiese del contesto milanese e lombardo ad aula rettangolare absidata, che si rifanno al modulo di S. Gottardo in Corte: dagli oratori di Solaro, Mocchirolo, Lentate sul Seveso, all'abbazia di Mirasole, riedificata nel sec. 15°, alla chiesetta di S. Cristoforo sul Naviglio, costituita da due vani accostati e comunicanti attraverso due ampie arcate, quello nord anteriore di un secolo a quello sud, fondato in occasione della pestilenza del 1398. Si datano al tardo sec. 14° la sezione occidentale e la fronte di S. Marco, caratterizzata da una complessa ma limpida intelaiatura lineare e da sottili variazioni cromatiche, quasi una rilettura campionese di formule toscane; l'ascrizione a Menclozzo è documentata dalla cronaca manoscritta seicentesca del canonico Valerio (Milano, Bibl. Ambrosiana). Moduli vicini alle addizioni trecentesche di S. Marco dovevano caratterizzare la chiesa di S. Maria della Scala, eretta per volontà di Regina della Scala, moglie di Barnabò Visconti, a partire dal 1381 sulle rovine dei palazzi dei della Torre.Apporti della tradizione veneta in ambito milanese sono stati riconosciuti nella facciata di S. Maria Maggiore con paramento murario a losanghe, approntata dopo i danni provocati dal crollo della torre campanaria di Azzone nel 1353; essa è stata ascritta ai Dalle Masegne e avvicinata alla fronte dell'antica cattedrale di Mantova (Romanini, 1955a; 1964).Il nuovo duomo sorse sull'area di S. Maria Maggiore, la cui distruzione fu operata in base alle esigenze del cantiere e in parallelo con quella dei due battisteri di S. Stefano e di S. Giovanni alle Fonti e del palazzo Ducale. Non sono del tutto chiariti il ruolo della committenza, il reale inizio dei lavori, di fatto precedente la data ricordata dall'iscrizione del 1386, la determinazione del progetto. L'assetto planimetrico a croce latina aggrega il corpo longitudinale a cinque navate al transetto a tre navate, dotato di piccole absidi poligonali, e al coro, connesso all'espansione del deambulatorio, dell'abside semiesagonale e di due sagrestie, allineate con le navate esterne. Pilastri polistili, articolati da otto membrature, e volte a crociera archiacute con alti capitelli a nicchie cuspidate configurano un alzato a 'gradonature' (Romanini, 1964) anche per la breve differenza d'imposta tra navata centrale e laterali; sul quadrato d'incrocio si innesta il tiburio tramite pennacchi con i busti clipeati dei Dottori della Chiesa.L'elaborazione del progetto viene ascritta alla collaborazione di architetti locali e stranieri, che potrebbe spiegare le diatribe iniziali, connesse alla mediazione e all'adattamento di un rigoroso impianto modulare di ispirazione nordica, forse della scuola boema dei Parler di Gmünd: un Parler svolse un ruolo fondamentale nella fabbrica dal 1392. Si ritiene che le fondamenta fossero poste in opera nel 1386 e che subito dopo fosse iniziata la costruzione del settore absidale; una prima fase costruttiva, identificata nella sagrestia aquilonare, evidenzierebbe l'utilizzo di materiale laterizio e l'applicazione di tecniche costruttive legate a un progetto anteriore a quello modificato nel 1392. Due disegni di Antonio di Vincenzo (Bologna, Arch. della Fabbriceria di S. Petronio) documentano la previsione di uno sviluppo più pronunciato del transetto a terminazione rettilinea, l'articolazione in alzato ad quadratum, l'innesto di un corridoio sotto le volte centrali, navate laterali organizzate come cappelle per un 'sistema di controspinta interna' (Romanini, 1964, I, p. 367), secondo un progetto di ambito parleriano, ancora in uso agli inizi degli anni novanta. Nel settembre del 1391 la chiamata di Gabriele Stornaloco era correlata alla necessità di verifiche al sistema di proporzionamento, che il matematico piacentino sosteneva dovesse essere impostato ad figuram triangularem, secondo un triangolo equilatero di 96 braccia di base e 83 di altezza; di contro, nel maggio del 1392 l'architetto Heinrich Parler di Gmünd criticava le discrepanze esecutive rispetto all'originario progetto ad quadratum. Prevalsero tuttavia il parere e l'esperienza dei maestri locali, che, con il consenso della Fabbrica, approvarono le variazioni già attuate, mentre veniva fissata l'altezza dei piloni e delle volte in 76 braccia. L'intervento di Giovannino de Grassi riguardò soprattutto la modulazione dei capitelli dei piloni e l'articolazione dei finestroni absidali - si identifica l'intervento del maestro nel primo capitello del deambulatorio - e segnò l'intensificazione della decorazione plastica. Dopo la scomparsa di Giovannino e di Giacomo da Campione, nel 1399 il cantiere fu scosso dalle critiche di Jean Mignot relative all'affidabilità statica della fabbrica e all'abbandono del sistema proporzionale basato sul triangolo equilatero; il cantiere vide quindi la ripresa dell'attività decorativa durante la direzione di Filippino degli Organi (1407-1448), mentre dalla metà del Quattrocento gli architetti cooptati dalla Fabbrica, Giovanni Solari e il figlio Guiniforte, furono impegnati soprattutto nella risoluzione del problema del tiburio e lavorarono a M. in S. Maria delle Grazie e in S. Pietro in Gessate, nel segno della fedeltà alle radici del Gotico lombard