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La Città di Asti

Asti (Ast in piemontese) è un comune del Piemonte di 73.734 abitanti, capoluogo della provincia di Asti.
"Municipium" romano noto con il nome di Hasta Pompeia o semplicemente Hasta, fu sede di un ducato longobardo della Nescia. Libero comune nel Medioevo, con diritto di "battere moneta", fu uno dei più importanti centri commerciali tra XII e XIII secolo, i suoi mercanti svilupparono il commercio ed il credito in tutta Europa. È conosciuta in tutto il mondo per i suoi vini, in particolare l'Asti spumante ed ogni anno, a settembre, vi si tiene uno dei concorsi enologici più importanti d'Italia, denominato la Douja d'Or.
Celebre è anche il suo Palio storico, festa tra le più antiche d'Italia, che si svolge a settembre e culmina con una corsa di cavalli montati "a pelo" (senza sella).
Enogastronomia
I vini
Cartello della Strada AstesanaAsti e le sue colline sono famosi in tutto il mondo per i vini dolci: il maggior vitigno è il Moscato Bianco o Moscato di Canelli, da cui si ottiene uno spumante, un passito ed una qualità "tranquilla" (o ferma). Da questo deriva l'Asti o Asti spumante, importante vino DOCG da fine pasto. Da non dimenticare la produzione di Malvasia nera, in particolare la Malvasia di Casorzo e di Castelnuovo Don Bosco e di Schierano, le cui uve danno vini rosati e dolci. Inoltre, degno di menzione è il vitigno di Brachetto dell'alto Monferrato e della zona di Acqui Terme. Per quel che riguarda i vini rossi, sicuramente il Barbera è la produzione più diffusa sul territorio. Un importante vino rosso assai pregiato è il Ruché di Castagnole Monferrato. Seguono il Dolcetto, il Grignolino, la Freisa ed il Ruchè. Fra i bianchi da pasto, la produzione di Cortese, specialmente nell'alto Monferrato, è prevalente.
Da ricordare che nell'Astigiano è nata nel 1999 la prima strada del vino piemontese, la Strada Astesana. Si sviluppa con otto percorsi, attraversando 52 comuni della provincia di Asti e di parte delle Langhe.
Le verdure Bagna càudaLa grande produzione e varietà di ortaggi ha la sua più alta espressione nella
bagna cauda, piatto "povero" che affonda le sue origini nel Medioevo. Gli ingredienti sono: acciughe sotto sale, burro, olio extra vergine di oliva, aglio; il tutto viene stemperato in un tegame fino ad ottenere una salsa calda. A questo punto si intingeranno le verdure crude tipiche del Monferrato (cardo gobbo di Nizza Monferrato, cardo avorio di Isola d'Asti, peperone quadrato di Motta di Costigliole, sedano dorato d'Asti, topinabur, rape, patate di Castelnuovo Scrivia....
I formaggi La Robiola di Roccaverano, formaggio fresco DOP, preparato con latte vaccino, ovino, caprino.
La Robiola di Cocconato, formaggio fresco di latte vaccino (un tempo era preparato con latte crudo).
La Toma Piemontese, formaggio vaccino, la cui storia risale al 1300.
I piatti tipici Le trifùleL'autunno e l'inverno sono le stagioni "principe" della cucina astigiana e piemontese.
Carne cruda con il tartufo(trifùla), vitello con salsa tonnata, peperoni in "bagna cauda", lingua di vitello in salsa verde (bagnet), tomini "elettrici" (formaggio con peperoncino), tonno di coniglio, sono solo alcuni dei tipici antipasti astigiani.
Agnolotti d'asino, di lepre; tagliatelle all'uovo (tajarin) al sugo d'arrosto, al tartufo o ai fungi porcini, per i primi.
Bollito di bue grasso con polenta "concia" (con formaggio filante).
la finanziera: il nome di questa ricetta deriva dall'abito, chiamato proprio finanziera, abitualmente indossato nel 1800 dai banchieri e dagli uomini di alta finanza, ai quali sembra che questo piatto piacesse molto; altre fonti suggeriscono invece l'origine del nome nel tributo in natura pagato dai contadini alle guardie (i finanzieri, appunto) per entrare in città. Tributo composto principalmente dalle frattaglie dei polli, ancora oggi fra gli ingredienti fondamentali.
il fritto misto alla piemontese (fricia) legato al rito della macellazione del maiale e alla necessità di non sprecare nulla. Annoverava le interiora, i sanguinacci, il polmone (fricassà bianca), il fegato (fricassà nèira), le animelle. Col tempo si è arricchito di nuovi ingredienti e numerose sono le versioni: tipici del Monferrato sono i fiori di zucca e gli amaretti.
gli arrosti di vitello ed i brasati al barbera o al barolo.
I dolci La polentina astigiana, fatta con mandorle, uvetta, maraschino e ricoperta da polenta gialla.
Gli amaretti di Mombaruzzo o di Canelli, biscotti morbidi di mandorle.
La torta alle nocciole.
Lo zabaglione al barbera o al moscato.
L'antico mon (pronuncia "mun") di Mongardino (mattone dolce).
Le pesche al ruchè di Castagnole Monferrato.
Storia di Asti
« L'Antica città di Asti......è nobile e civile, ricca , e di popolo ben piena e di begli edifici ornata, ha buono e producevole territorio , tanto di frumento quanto di vino e d'altre cose necessarie all'huomo e ha per suo patrono San Secondo »
(da un'iscrizione del Theatro delle città d'Italia con nove aggiunte. Padova, Bertelli, 1629)
Le origini
Fino a qualche decennio fa era opinione di molti studiosi, tra cui Lodovico Vergano, che il nome Asti derivasse dalla matrice ligure “ast” altura, a denominare il primo insediamento abitato sulla collinetta detta dei “Varroni”.
Anche secondo Strabone, Asta significa roccia che si alza dalla pianura.
Nella Naturalis Historia di Plinio (libro III , capitolo V), Asti è “un forte villaggio ligure confinante con le tribù degli Stazielli, popolato di gente industriosa, pastori, agricoltori, artigiani”.
Nelle nuove ipotesi del 1991, il canonico P.Dacquino ricorda come la presenza ligure nel territorio piemontese sia ancora del tutto incerta e discussa: non vi è traccia né di scritti, né di importanti reperti archeologici ascrivibili a quel popolo. Inoltre, alcuni studiosi tedeschi tendono a inscrivere i liguri in un ceppo più vasto quale quello degli Indoeuropei. Anche la leggenda che vuole Pompeo aver piantato la sua “nobile asta” in questo luogo per indicare il sito di costruzione della città, avallando la voce latina Hasta che indica la proprietà comune dei cittadini romani, non trova alcun riscontro oggettivo. Solamente verso il II secolo il nome primitivo di Asti è avvicinato alla voce latina.
È molto più probabile, sempre secondo il Dacquino, che il nome derivi dall’indoeuropeo owi-s (pecora), ad indicare il luogo della pastorizia. Il primo insediamento è quello del neolitico, sulla sponda sinistra del Tanaro, il quale si spostò verso il 1800 a.C. - 1500 a.C. nella collinetta dei Varroni.
Un elmo bronzeo del tipo di Veio, ritrovato nel letto del fiume Tanaro nel territorio astese, ci fa presupporre contatti con popolazioni etrusche, che intorno al 1000 a.C. – 600 a.C. espandettero il proprio raggio d’azione. Influssi etruschi quindi, anche se modesti, commisti a popolazioni celtiche discese dal nord, originarono gli abitanti del territorio astigiano, che si scontrarono con gli eserciti romani.
I Romani Il processo di “romanizzazione” durerà dal 200 a.C. fino al 122 a. C., portando Asti ed il suo territorio a costituire un “municipium” romano con il nome di Hasta. Esso precede quello dell’area albese, ed anticipa sensibilmente la costruzione di Augusta Taurinorum.
Sono pochi i reperti dell’epoca romana ritrovati sul territorio astese: alcune lapidi, vasi e suppellettili in cotto ed in vetro, pochi resti in marmo come, ad esempio, i due capitelli corinzi oggi nella Cattedrale di Santa Maria Assunta.
Sotto l’aspetto architettonico, non restano che la base della Torre Rossa o di San Secondo nel Rione Santa Caterina, probabile elemento di uno dei torrioni della porta nord della cinta muraria, i resti dell'anfiteatro romano della metà del I secolo in via Massimo d’Azeglio e parte di una "domus" in via Varrone. Precisi riscontri archeologici hanno permesso di definire la città romana in un perimetro quadrato di 700 metri di lato, che racchiude un’area di 49 ettari.
L’agglomerato urbano della città era situato in una favorevole posizione: secondo la tabula Peutingeriana, che è l’atlante geografico dell’antichità, si trovava esattamente sulla via Fulvia, aveva la tipica conformazione a “scacchiera”, attraversata al centro dal decumano massimo, continuazione della via consolare (l’attuale Corso Alfieri) che, arrivando da Dertona (Tortona), si tetrapartiva verso Vardacate (Casale Monferrato), Industria (Chivasso), Carreum Potentia (Chieri) e Pollentia (Pollenzo).
I Longobardi
I Longobardi scesero in Italia nel 568 attraverso le Alpi Carniche; guidava gli invasori Re Alboino, che scelse Pavia come capitale e divise il regno in tre regioni: l’Austrasia, la Nescia e la Tuscia. Ogni regione a sua volta fu divisa in ducati. Asti divenne un ducato della Nescia. Il suo territorio si estendeva fino alla Liguria, comprendendo Albenga e Savona.
A capo del ducato di Asti vi era Gunualdo, fratello della regina Teodolinda; egli ebbe due figli: Godeberto suo successore e Pertarito, in perenne conflitto tra loro, al punto tale che il cognato Grimoaldo, duca di Benevento, poté approfittarne, uccidendo il primo e costringendo alla fuga il secondo.
Pertarito si rivolse ai vicini Franchi di re Clotario, che si scontrarono con Grimoaldo nel 663 nella località di Refrancore, ad una decina di chilometri da Asti.
Il primo scontro arrise a Pertarito ed ai suoi alleati franchi, ma nella notte Grimoaldo piombò nell’accampamento facendo strage dei nemici. Il toponimo Refrancore sta infatti a ricordare il luogo della sanguinosa strage “ Rivus ex sanguine Francorum”.
Anche se il passaggio dai romani ai nuovi invasori non fu traumatico come nelle altre città italiane, possiamo supporre che anche ad Asti la nobiltà venne capitozzata ed i beni confiscati a vantaggio della nuova classe patrizia longobarda.
Questo portò la città ad una notevole involuzione sia demografica che economica, al punto tale che il cronista Paolo Diacono, riferendosi ad Asti, un tempo ” civitas”, l’appella col nome di civitatula.
La dominazione longobarda si protrasse fino al 774, data in cui Carlo Magno sconfisse l’ultimo re longobardo Desiderio.
I Franchi
Il Molina nelle sue “Notizie Storiche profane della lotta di Asti”, narra che Carlo Magno, nel 774 giunse ad Asti nell’Abbazia dei Santissimi Apostoli per “ricevere” l’obbedienza della città, in tale occasione avrebbe dispensato alla nobiltà astigiana titoli e privilegi.
E’ dello stesso periodo la leggenda che la costruzione dell'Abbazia di Vezzolano sia stata fatta su ordine dello stesso Carlo Magno, testimone di una visione mentre cacciava nella selva di Albugnano.
Carlo Magno, nell’801, avrebbe anche concesso il privilegio dello svolgimento due volte l’anno della fiera di Asti, antenata della attuale fiera “Carolingia”, che si tiene tuttora il primo mercoledì di maggio ininterrottamente da più di 1500 anni, in occasione dei festeggiamenti patronali per San Secondo.
Asti divenne contea Franca, ma dopo l’815, anno della morte di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero si sgretolò in infiniti piccoli feudi, con tantissimi discendenti, ognuno dei quali accampava diritti su più territori.
Così avvenne, che sul finire del IX secolo, l’Italia era rivendicata da ben tre signori:
Berengario, Marchese del Friuli, incoronato a Milano nell’ 888
Guido di Spoleto, incoronato a Pavia nell’890
Arnoldo sovrano germanico, incoronato a Roma nell’895
In seguito al succedersi di intrighi e lotte per il regno d’Italia, Berengario, dopo molto battagliare e tramare, rimase unico sovrano d’Italia. Morì nella chiesa di Sant’Anastasio a Verona nel 924 anch’egli assassinato.
Il potere dei Vescovi
Le alterne vicende politiche europee videro, nei secoli X e XI, un allontanamento della sfera di azione degli imperatori nelle “cose” italiane e in particolare astigiane, sempre più impegnati nelle lotte centrali per la successione e la supremazia dell’impero.
Questo aumentò l’influenza vescovile, incrementandone il potere anche sotto l’aspetto politico- territoriale.
In Asti, per quasi tre secoli, dal 1000 al 1300, il diritto di nominare il Vescovo fu di spettanza dei Canonici della Curia, i quali lo scieglievano sovente in seno al proprio Capitolo.
I Vescovi di quel periodo erano colti, oculati ed incarnavano per il popolo il potere supremo, quello cioè divino, godendo quindi del pieno rispetto e benevolenza popolare.
Gli imperatori sapevano bene questo e cercarono di utilizzarli, quasi come pubblici ufficiali, nel processo evolutivo del feudalesimo.
Per poter contenere i Vescovi sotto la propria autorità, gli imperatori elargivano beni e privilegi. Già dal 938, Ugo e Lotario, in segno di riconoscenza, concedevano al Vescovo Brunigo, loro arcicancelliere, il Castel Vecchio, roccaforte della città, i cui resti si possono ancora scorgere nel boschetto dei partigiani in Piazza Martiri della libertà. In tal modo Ottone I nel 962, con la conferma dei privilegi, investì praticamente il Vescovo Brunigo della “signoria” della città, comprendendo anche il potere giuridico amministrativo.
La diocesi di Asti, come risulta dal diploma dell’imperatore Enrico III del 1041, comprendeva gran parte del Piemonte meridionale (Mondovì, una parte della diocesi di Cuneo, tra cui Cherasco, Bra, parte di Fossano e di Alba) giungendo fino alle valli dell’Ellero, del Pesio, del Gesso, fino ai valichi del col di Tenda e delle Finestre; ad est, parte del territorio di Casale e Alessandria; a nord molte parrocchie di Torino comprendendo Poirino, Buttigliera e Cerreto.
Erano inoltre comprese la corte di Benevagienna, col castello cinto di mura e acquedotto, Lequio con terre e castelli circostanti, la corte di Niella Tanaro, con le sue dipendenze e la contea di Bredulo.
Il Vescovo Oddone III, figlio di Adelaide e cognato di Enrico IV, sul finire del XI secolo, alla morte della madre (unica discendente della marca Arduinica), divenne così conte di Asti e di Bredulo.
I Vescovi di Asti, secondo il Cipolla, in “ Di Audace, Vescovo d’Asti “, non perdettero mai il concetto della propria dignità spirituale e della propria missione, anzi secondo il Vassallo, il governo dei Vescovi migliorò le condizioni socio- economiche della città, fino all’esempio del Vescovo Bonifacio I (1198-1206), che durante il suo mandato cedette ai poteri civili del Comune di Asti, parte dei fondi e delle proprietà della chiesa. Nel gennaio del 1206, il Papa Innocenzo III lo rimuoveva dalla cattedra episcopale, confinandolo nell’Abbazia di Valleombrosa (Certosa di Valmanera), ma ormai il processo di laicizzazione, che porterà al trionfo dell’autonomia comunale, era inarrestabile.
Il Comune
Il Vescovo Oddone, il 28 maggio 1095, investì il Comune di Asti, nella figura dei suoi consoli, del Castello e del villaggio di Annone, con tutti i diritti ad esso pertinenti. Questo documento, presente nel Codex Astensis, è molto importante perché menziona per la prima volta i consoli della città.
L’atto che ci parla del già esistente Comune di Asti è antecedente a quello di Milano (1097), Genova (1098) e Pavia (1105).
Nel 1140 il prestigio del Comune accrebbe con il privilegio dato dall’imperatore Corrado II di battere moneta.
Il Comune di Asti cominciò subito sia una politica espansionistica economica, con i propri mercanti che avevano banchi in tutta Europa, che territoriale, con continui sconfinamenti nelle terre vescovili o nella marca Aleramica, nei territori di potenti famiglie feudatarie quali per esempio i marchesi Del Carreto, di Incisa, di Busca o i conti di Loreto.
L’espansione del Comune di Asti creò notevoli problemi a questi feudatari che, nella persona del Vescovo Anselmo e del Marchese del Monferrato, nel 1154 si recarono a Roncaglia cercando di bloccare l’ascesa del Comune di Asti tramite l’intercessione dell’ imperatore Federico I di Svevia (il Barbarossa).
Quest'ultimo si dimostrò subito ostile nei confronti dei comuni centro-settentrionali: nel 1155 mise a ferro e fuoco la città e affermò la propria autorità sulle regalie (diritti di imporre tasse, battere moneta, stipulare trattati, ecc. che erano stati acquisiti o usurpati dai comuni ai tempi di Enrico IV), e ristabilì il potere del Vescovo e di nobili suoi alleati, che portarono Asti, per un breve periodo, a schierarsi contro i Comuni della lega Lombarda.
La città, volendosi opporre all’imperatore e ai suoi alleati, i marchesi del Monferrato, nel 1168 si alleò alla Lega Lombarda, ma venne nuovamente assediata e distrutta nel 1174.
Dopo ben 22 anni di lotte, la Lega Lombarda, con la Pace di Costanza del 1183, ebbe riconosciute ampie libertà comunali: elezione dei propri magistrati, fortificazione delle città, formulazione di leggi locali.
«Nel nome della santa ed individua Trinità. Federico, per concessione della divina clemenza, imperatore augusto dei Romani, ed Enrico sesto, figlio suo, augusto re dei Romani.
...Pertanto sappiano tutti i fedeli dell'Impero presenti e futuri che noi [Federico I] per consueta benignità della nostra grazia, aprendo le viscere della nostra innata pietà alla fede ed all'ossequio dei lombardi.....che noi clementi condoniamo loro tutte le offese e le colpe colle quali avevano provocata la nostra indignazione e che, avuto riguardo ai servigi di leale affetto che noi speriamo da loro, giudichiamo di annoverarli tra i nostri diletti e fedeli sudditi....Pertanto abbiamo comandato di sottoscrivere e di confermare col sigillo della nostra autorità la pace che nella presente pagina abbiamo loro benignamente accordata.....Noi Federico, imperatore dei romani, ed il nostro figlio Enrico, re dei romani, concediamo a voi città, terre e persone della lega le regalie e le consuetudini vostre tanto in città che fuori....fuori poi esercitiate senza nostra contraddizione tutte le consuetudini come avete sino ad oggi esercitate, cioè sul fodro, sui boschi, sui pascoli, sui ponti, sulle acque e molini, come usaste ab antico o fate ora, nel formare esercito, nelle fortificazioni delle città, nella giurisdizione, così nelle cause criminali come pecuniarie, entro e fuori, ed in tutte l'altre cose che appartengono agli utili delle città....Sia lecito alle città di fortificarsi e fare fortilizi anche fuori...
...Questi sono i luoghi e le città che ricevettero insieme a Noi, previo giuramento dei Lombardi, la predetta Pace ed essi giurarono di osservarla: Pavia, Cremona, Como, Tortona, Asti, Cesarea (Alessandria), Genova, Alba, e altre i città, luoghi e persone che appartennero e appartengono al nostro partito»
(Constitutiones et Acta pubblica imperatorum et regum, Costanza, 25 giugno 1183)
Il Comune di Asti si aprì così a una grande stagione espansionistica – commerciale, e quando Federico II di Svevia tornò ad avere mire sul territorio piemontese, gli astesi con l’aiuto di Alessandria e Genova lo costrinsero più volte alla sconfitta; lo stesso avvenne più tardi per Tommaso II di Savoia: dopo anni di scontri durissimi e sanguinosi, venne sconfitto nella battaglia di Montebruno del 1255, catturato dai torinesi e tradotto in carcere ad Asti; si ampliarono così i domini di Asti su Moncalieri, la collina di Cavoretto, Carignano e Cavour.
La morte di Tommaso II nel 1259 faceva sperare per gli astigiani in un periodo di ascesa ed egemonia territoriale, in conseguenza delle vittorie riportate.
Ma gli astigiani dovettero ricredersi, visto che cominciò a profilarsi la mira espansionistica di Carlo I d'Angiò sull’Italia settentrionale. La città corse ai ripari stringendo alleanze con Pavia, Genova e Guglielmo VII del Monferrato.
Cominciò un periodo di aspre lotte culminate nel 1275 nella battaglia di Roccavione, in cui le truppe dell’Angioino riportarono gravi perdite. Fu in quell'occasione che gli astigiani, per scherno, corsero il loro Palio sotto le mura della nemica città di Alba.
Nel 1290 Guglielmo VII del Monferrato cercò invano di catturare la città, ma gli astigiani tramarono alle sue spalle di concerto con gli alessandrini che lo fecero prigioniero e lo tennero segregato fino alla sua morte.
Dopo questi avvenimenti il Comune raggiunse l’apice del suo splendore: nel XII secolo la città si dotò di una considerevole cinta muraria, le famiglie nobili innalzarono torri a simbolo della loro potenza economica – militare - la grande tavola del 1937 del pittore Ottavio Baussano di Palazzo Mazzetti, raffigurante la città nel medioevo, ci mostra una città caratterizzata da una “selva “di torri (più di 120 nel XIII secolo).
Il potere economico sviluppato dalle potenti famiglie mercatali astigiane aumentò grazie anche a sodalizi stipulati con i sovrani d’Oltralpe.
L’attività sviluppata dai ”Lombardi “ (perché Asti era compresa nel territorio Longobardo), si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa, con l’insediamento stabile di agenzie di pegno (o “ casane”) dapprima in Francia e Borgogna, poi in Germania e nelle Fiandre, e nel 1342, al fallimento delle grandi banche fiorentine, la stessa curia papale Avignonese, si affidò alla casana dei Malabaila, elevandoli al rango di banchieri pontifici.
La città di Asti nel XIII secolo fu così all’ottavo posto tra le città settentrionali al pari con Bergamo e Parma, non a caso il cronista Benvenuto da Imola, riferendosi agli astigiani, li considera “i più ricchi di tutti gli italiani”, anche se aggiungeva “perché sono i maggiori usurai”.
Contava ormai più di 40.000 abitanti ed avrebbe potuto aumentare ancora la propria espansione ed influenza in Piemonte, ma ciò non avvenne per il quasi permanente stato di guerriglia che caratterizzò la città a causa delle profonde divisioni tra le fazioni guelfe e ghibelline delle famiglie astesi.
I guelfi capeggiati dai Solaro, con i Malabaila, Garretti, Troya, Falletti, Ricci, Damiani, spalleggiati da Filippo di Acaja ed i ghibellini capeggiati dai Guttuari, Turco, Isnardi (che formavano il Consorzio dei De Castello), con gli Alfieri, Scarampi, Catena, Buneo, Cacherano, aiutati dal Marchese di Monferrato, si dettero battaglia per quasi un secolo, con alterne vicende che videro a turno esiliata o sconfitta l’una o l’altra fazione.
Per approfondire, vedi la voce Casane astigiane.
Questo stato di faide, uccisioni e rappresaglie verso l’una o l’altra fazione, indebolirono notevolmente il Comune; veniva a mancare quella coesione e comunione di intenti che aveva prmesso alla città la propria espansione politico – economica.
In breve tempo il governo della città passò dai Monferrato ai Visconti ed il 27 marzo 1379, i cittadini esasperati dalle continue lotte, si posero sotto il governo di Galeazzo Visconti.
Era la fine del periodo del libero comune. Alcuni anni dopo, la città venne compresa nella dote di nozze di Valentina Visconti in sposa a Luigi di Valois duca di Orleans. Da questo matrimonio nacquero cinque figli, di cui due diventarono re di Francia.
Il dominio Orleanese
Sotto gli Orleans, la città ebbe un nuovo periodo di rifioritura e ripresa economica. Luigi di Valois lasciò gli astesi relativamente liberi di amministrare la città. Ampliò e modificò l’antica “bealera”, un canale per deviare le acque dal fiume Borbore alla zona sud di Asti, ricca di manifatture tessili.
Il figlio Carlo d’Orléans (1394 -1465), mise a governare la città Filippo Maria Visconti e nel 1415 fu fatto prigioniero nella Battaglia di Agincourt rimanendo in Inghilterra fino al 1440.
Mentre Carlo d’Orleans era prigioniero, Filippo Maria morì senza figli e i parenti prossimi avanzarono pretese anche su Asti: i Visconti, i Valois (famiglia materna), gli Sforza e il nemico di sempre, il marchese Giovanni del Monferrato.
Asti visse quindi un periodo di circa vent’anni tra continui assalti e tentativi di difesa.
Riacquistata la libertà, Carlo d’Orleans nominò reggente Rinaldo di Dresnay che fu sempre impegnato in lotte sforzesche. Alla morte di Carlo Asti passò direttamente alla corte di Francia, con il re Luigi XI, amico degli Sforza, sotto il cui potere rilegò la città.
Il 9 settembre 1495, Carlo VIII, figlio di Luigi XI, entrò in Asti, agli ossequi di Ludovico il Moro, nel tentativo di estendere i propri domini ma alcuni stati italiani però cominciarono a preoccuparsi.
Non riuscì a raggiungere il suo scopo, morì a 36 anni e con lui il ramo dei Valois.
Gli succedette allora Luigi XII, duca e figlio di Carlo d'Orleans, deciso dove Carlo VIII non lo fu: stretta un’alleanza con Venezia e con il papa, cercò guerra con il Moro, che temeva ora di perdere il Ducato per la discendenza tra Luigi XII e Valentina Visconti. Allora formarono una Lega Antifrancese a cui si unirono anche il re di Spagna, Ferdinando il Cattolico, e l'imperatore Massimiliano I .
Nell’estate del 1499 le truppe francesi si raccolsero attorno ad Asti. Il Moro, già impegnato contro Venezia, inviò un esiguo esercito sperando nell’arrivo dell’imperatore Massimiliano, ma sconfitto, i suoi possedimenti passarono sotto il dominio francese.
Dopo la battaglia di Ravenna la città passò sotto il Paleologo e poi sotto gli Sforza, ma nel 1515 fu sconfitta dalle truppe del re Francesco I e tornò alla Francia.
I Savoia Durante la guerra fra Francesco I e Carlo V, Asti mutò spesso padrone, ma nel 1531 Carlo V la donò a sua cognata Beatrice di Portogallo, moglie del duca Carlo II di Savoia.
Gli succedette il figlio Emanuele Filiberto che concesse alla città i vecchi privilegi tra cui la corsa del Palio, che nell’occasione venne regolamentata, e le fiere di San Secondo.
Nella prima metà del 1600 imperversava la guerra tra Francesi e Spagnoli; Carlo Emanuele I di Savoia, figlio di Emanuele Filiberto, opponendosi all’Imperatore spagnolo scatenò la guerra nel Monferrato. Per cinque volte gli scontri furono favorevoli al Duca di Savoia, culminando nel combattimento del 1615 ad est della città di Asti, nella zona del fortino.
La vittoria portò alla convenzione conosciuta con il nome di "Secondo trattato di Asti", stipulato nella Certosa di Asti il 21 giugno 1615.
Nei cinquant’anni seguenti Asti venne comunque dilaniata dalle guerre: nel 1639 passò nelle mani del principe Tomaso e degli spagnoli, nel 1643 tornò ai Savoia.
Nel 1703 fu occupata dal duca di Vendome. Nel 1705 ritornò ai Savoia, per essere riconquistata dai francesi, cacciati nuovamente da Vittorio Amedeo III.
La pace di Aquisgrana (1748) portò un periodo di stabilità, ma quando scoppiò la Rivoluzione Francese, Vittorio Amedeo III fu costretto a stringere alleanze con i nemici della rivoluzione, Austria, Prussia e Inghilterra.
I nobili francesi rifugiati a Torino non gli piacevano, erano troppo dediti al lusso ed alle feste mondane. Ciononostante li accolse e li aiutò per solidarietà dinastica. Nel 1792 l’esercito rivoluzionario francese invase la Savoia.
Il Principe si difese strenuamente per cinque anni, con grande dispendio di risorse economiche ed umane per le popolazioni del Piemonte, anche se non tutti si schierarono col loro re: nel 1791 ci fu a Torino una rivolta di studenti e nel 1794 una congiura giacobina. Alla fine, abbandonato dall'Austria, fu costretto a firmare l'armistizio di Cherasco (seguito dalla Pace di Parigi nel 1796), con cui cedette alla Francia, Nizza e la Savoia.
Alla morte del padre Vittorio Amedeo III, il 16 ottobre 1796, gli succedette al trono Carlo Emanuele IV di Sardegna. Era un momento estremamente difficile: le casse dello stato erano v
"Municipium" romano noto con il nome di Hasta Pompeia o semplicemente Hasta, fu sede di un ducato longobardo della Nescia. Libero comune nel Medioevo, con diritto di "battere moneta", fu uno dei più importanti centri commerciali tra XII e XIII secolo, i suoi mercanti svilupparono il commercio ed il credito in tutta Europa. È conosciuta in tutto il mondo per i suoi vini, in particolare l'Asti spumante ed ogni anno, a settembre, vi si tiene uno dei concorsi enologici più importanti d'Italia, denominato la Douja d'Or.
Celebre è anche il suo Palio storico, festa tra le più antiche d'Italia, che si svolge a settembre e culmina con una corsa di cavalli montati "a pelo" (senza sella).
Enogastronomia
I vini
Cartello della Strada AstesanaAsti e le sue colline sono famosi in tutto il mondo per i vini dolci: il maggior vitigno è il Moscato Bianco o Moscato di Canelli, da cui si ottiene uno spumante, un passito ed una qualità "tranquilla" (o ferma). Da questo deriva l'Asti o Asti spumante, importante vino DOCG da fine pasto. Da non dimenticare la produzione di Malvasia nera, in particolare la Malvasia di Casorzo e di Castelnuovo Don Bosco e di Schierano, le cui uve danno vini rosati e dolci. Inoltre, degno di menzione è il vitigno di Brachetto dell'alto Monferrato e della zona di Acqui Terme. Per quel che riguarda i vini rossi, sicuramente il Barbera è la produzione più diffusa sul territorio. Un importante vino rosso assai pregiato è il Ruché di Castagnole Monferrato. Seguono il Dolcetto, il Grignolino, la Freisa ed il Ruchè. Fra i bianchi da pasto, la produzione di Cortese, specialmente nell'alto Monferrato, è prevalente.
Da ricordare che nell'Astigiano è nata nel 1999 la prima strada del vino piemontese, la Strada Astesana. Si sviluppa con otto percorsi, attraversando 52 comuni della provincia di Asti e di parte delle Langhe.
Le verdure Bagna càudaLa grande produzione e varietà di ortaggi ha la sua più alta espressione nella
bagna cauda, piatto "povero" che affonda le sue origini nel Medioevo. Gli ingredienti sono: acciughe sotto sale, burro, olio extra vergine di oliva, aglio; il tutto viene stemperato in un tegame fino ad ottenere una salsa calda. A questo punto si intingeranno le verdure crude tipiche del Monferrato (cardo gobbo di Nizza Monferrato, cardo avorio di Isola d'Asti, peperone quadrato di Motta di Costigliole, sedano dorato d'Asti, topinabur, rape, patate di Castelnuovo Scrivia....
I formaggi La Robiola di Roccaverano, formaggio fresco DOP, preparato con latte vaccino, ovino, caprino.
La Robiola di Cocconato, formaggio fresco di latte vaccino (un tempo era preparato con latte crudo).
La Toma Piemontese, formaggio vaccino, la cui storia risale al 1300.
I piatti tipici Le trifùleL'autunno e l'inverno sono le stagioni "principe" della cucina astigiana e piemontese.
Carne cruda con il tartufo(trifùla), vitello con salsa tonnata, peperoni in "bagna cauda", lingua di vitello in salsa verde (bagnet), tomini "elettrici" (formaggio con peperoncino), tonno di coniglio, sono solo alcuni dei tipici antipasti astigiani.
Agnolotti d'asino, di lepre; tagliatelle all'uovo (tajarin) al sugo d'arrosto, al tartufo o ai fungi porcini, per i primi.
Bollito di bue grasso con polenta "concia" (con formaggio filante).
la finanziera: il nome di questa ricetta deriva dall'abito, chiamato proprio finanziera, abitualmente indossato nel 1800 dai banchieri e dagli uomini di alta finanza, ai quali sembra che questo piatto piacesse molto; altre fonti suggeriscono invece l'origine del nome nel tributo in natura pagato dai contadini alle guardie (i finanzieri, appunto) per entrare in città. Tributo composto principalmente dalle frattaglie dei polli, ancora oggi fra gli ingredienti fondamentali.
il fritto misto alla piemontese (fricia) legato al rito della macellazione del maiale e alla necessità di non sprecare nulla. Annoverava le interiora, i sanguinacci, il polmone (fricassà bianca), il fegato (fricassà nèira), le animelle. Col tempo si è arricchito di nuovi ingredienti e numerose sono le versioni: tipici del Monferrato sono i fiori di zucca e gli amaretti.
gli arrosti di vitello ed i brasati al barbera o al barolo.
I dolci La polentina astigiana, fatta con mandorle, uvetta, maraschino e ricoperta da polenta gialla.
Gli amaretti di Mombaruzzo o di Canelli, biscotti morbidi di mandorle.
La torta alle nocciole.
Lo zabaglione al barbera o al moscato.
L'antico mon (pronuncia "mun") di Mongardino (mattone dolce).
Le pesche al ruchè di Castagnole Monferrato.
Storia di Asti
« L'Antica città di Asti......è nobile e civile, ricca , e di popolo ben piena e di begli edifici ornata, ha buono e producevole territorio , tanto di frumento quanto di vino e d'altre cose necessarie all'huomo e ha per suo patrono San Secondo »
(da un'iscrizione del Theatro delle città d'Italia con nove aggiunte. Padova, Bertelli, 1629)
Le origini
Fino a qualche decennio fa era opinione di molti studiosi, tra cui Lodovico Vergano, che il nome Asti derivasse dalla matrice ligure “ast” altura, a denominare il primo insediamento abitato sulla collinetta detta dei “Varroni”.
Anche secondo Strabone, Asta significa roccia che si alza dalla pianura.
Nella Naturalis Historia di Plinio (libro III , capitolo V), Asti è “un forte villaggio ligure confinante con le tribù degli Stazielli, popolato di gente industriosa, pastori, agricoltori, artigiani”.
Nelle nuove ipotesi del 1991, il canonico P.Dacquino ricorda come la presenza ligure nel territorio piemontese sia ancora del tutto incerta e discussa: non vi è traccia né di scritti, né di importanti reperti archeologici ascrivibili a quel popolo. Inoltre, alcuni studiosi tedeschi tendono a inscrivere i liguri in un ceppo più vasto quale quello degli Indoeuropei. Anche la leggenda che vuole Pompeo aver piantato la sua “nobile asta” in questo luogo per indicare il sito di costruzione della città, avallando la voce latina Hasta che indica la proprietà comune dei cittadini romani, non trova alcun riscontro oggettivo. Solamente verso il II secolo il nome primitivo di Asti è avvicinato alla voce latina.
È molto più probabile, sempre secondo il Dacquino, che il nome derivi dall’indoeuropeo owi-s (pecora), ad indicare il luogo della pastorizia. Il primo insediamento è quello del neolitico, sulla sponda sinistra del Tanaro, il quale si spostò verso il 1800 a.C. - 1500 a.C. nella collinetta dei Varroni.
Un elmo bronzeo del tipo di Veio, ritrovato nel letto del fiume Tanaro nel territorio astese, ci fa presupporre contatti con popolazioni etrusche, che intorno al 1000 a.C. – 600 a.C. espandettero il proprio raggio d’azione. Influssi etruschi quindi, anche se modesti, commisti a popolazioni celtiche discese dal nord, originarono gli abitanti del territorio astigiano, che si scontrarono con gli eserciti romani.
I Romani Il processo di “romanizzazione” durerà dal 200 a.C. fino al 122 a. C., portando Asti ed il suo territorio a costituire un “municipium” romano con il nome di Hasta. Esso precede quello dell’area albese, ed anticipa sensibilmente la costruzione di Augusta Taurinorum.
Sono pochi i reperti dell’epoca romana ritrovati sul territorio astese: alcune lapidi, vasi e suppellettili in cotto ed in vetro, pochi resti in marmo come, ad esempio, i due capitelli corinzi oggi nella Cattedrale di Santa Maria Assunta.
Sotto l’aspetto architettonico, non restano che la base della Torre Rossa o di San Secondo nel Rione Santa Caterina, probabile elemento di uno dei torrioni della porta nord della cinta muraria, i resti dell'anfiteatro romano della metà del I secolo in via Massimo d’Azeglio e parte di una "domus" in via Varrone. Precisi riscontri archeologici hanno permesso di definire la città romana in un perimetro quadrato di 700 metri di lato, che racchiude un’area di 49 ettari.
L’agglomerato urbano della città era situato in una favorevole posizione: secondo la tabula Peutingeriana, che è l’atlante geografico dell’antichità, si trovava esattamente sulla via Fulvia, aveva la tipica conformazione a “scacchiera”, attraversata al centro dal decumano massimo, continuazione della via consolare (l’attuale Corso Alfieri) che, arrivando da Dertona (Tortona), si tetrapartiva verso Vardacate (Casale Monferrato), Industria (Chivasso), Carreum Potentia (Chieri) e Pollentia (Pollenzo).
I Longobardi
I Longobardi scesero in Italia nel 568 attraverso le Alpi Carniche; guidava gli invasori Re Alboino, che scelse Pavia come capitale e divise il regno in tre regioni: l’Austrasia, la Nescia e la Tuscia. Ogni regione a sua volta fu divisa in ducati. Asti divenne un ducato della Nescia. Il suo territorio si estendeva fino alla Liguria, comprendendo Albenga e Savona.
A capo del ducato di Asti vi era Gunualdo, fratello della regina Teodolinda; egli ebbe due figli: Godeberto suo successore e Pertarito, in perenne conflitto tra loro, al punto tale che il cognato Grimoaldo, duca di Benevento, poté approfittarne, uccidendo il primo e costringendo alla fuga il secondo.
Pertarito si rivolse ai vicini Franchi di re Clotario, che si scontrarono con Grimoaldo nel 663 nella località di Refrancore, ad una decina di chilometri da Asti.
Il primo scontro arrise a Pertarito ed ai suoi alleati franchi, ma nella notte Grimoaldo piombò nell’accampamento facendo strage dei nemici. Il toponimo Refrancore sta infatti a ricordare il luogo della sanguinosa strage “ Rivus ex sanguine Francorum”.
Anche se il passaggio dai romani ai nuovi invasori non fu traumatico come nelle altre città italiane, possiamo supporre che anche ad Asti la nobiltà venne capitozzata ed i beni confiscati a vantaggio della nuova classe patrizia longobarda.
Questo portò la città ad una notevole involuzione sia demografica che economica, al punto tale che il cronista Paolo Diacono, riferendosi ad Asti, un tempo ” civitas”, l’appella col nome di civitatula.
La dominazione longobarda si protrasse fino al 774, data in cui Carlo Magno sconfisse l’ultimo re longobardo Desiderio.
I Franchi
Il Molina nelle sue “Notizie Storiche profane della lotta di Asti”, narra che Carlo Magno, nel 774 giunse ad Asti nell’Abbazia dei Santissimi Apostoli per “ricevere” l’obbedienza della città, in tale occasione avrebbe dispensato alla nobiltà astigiana titoli e privilegi.
E’ dello stesso periodo la leggenda che la costruzione dell'Abbazia di Vezzolano sia stata fatta su ordine dello stesso Carlo Magno, testimone di una visione mentre cacciava nella selva di Albugnano.
Carlo Magno, nell’801, avrebbe anche concesso il privilegio dello svolgimento due volte l’anno della fiera di Asti, antenata della attuale fiera “Carolingia”, che si tiene tuttora il primo mercoledì di maggio ininterrottamente da più di 1500 anni, in occasione dei festeggiamenti patronali per San Secondo.
Asti divenne contea Franca, ma dopo l’815, anno della morte di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero si sgretolò in infiniti piccoli feudi, con tantissimi discendenti, ognuno dei quali accampava diritti su più territori.
Così avvenne, che sul finire del IX secolo, l’Italia era rivendicata da ben tre signori:
Berengario, Marchese del Friuli, incoronato a Milano nell’ 888
Guido di Spoleto, incoronato a Pavia nell’890
Arnoldo sovrano germanico, incoronato a Roma nell’895
In seguito al succedersi di intrighi e lotte per il regno d’Italia, Berengario, dopo molto battagliare e tramare, rimase unico sovrano d’Italia. Morì nella chiesa di Sant’Anastasio a Verona nel 924 anch’egli assassinato.
Il potere dei Vescovi
Le alterne vicende politiche europee videro, nei secoli X e XI, un allontanamento della sfera di azione degli imperatori nelle “cose” italiane e in particolare astigiane, sempre più impegnati nelle lotte centrali per la successione e la supremazia dell’impero.
Questo aumentò l’influenza vescovile, incrementandone il potere anche sotto l’aspetto politico- territoriale.
In Asti, per quasi tre secoli, dal 1000 al 1300, il diritto di nominare il Vescovo fu di spettanza dei Canonici della Curia, i quali lo scieglievano sovente in seno al proprio Capitolo.
I Vescovi di quel periodo erano colti, oculati ed incarnavano per il popolo il potere supremo, quello cioè divino, godendo quindi del pieno rispetto e benevolenza popolare.
Gli imperatori sapevano bene questo e cercarono di utilizzarli, quasi come pubblici ufficiali, nel processo evolutivo del feudalesimo.
Per poter contenere i Vescovi sotto la propria autorità, gli imperatori elargivano beni e privilegi. Già dal 938, Ugo e Lotario, in segno di riconoscenza, concedevano al Vescovo Brunigo, loro arcicancelliere, il Castel Vecchio, roccaforte della città, i cui resti si possono ancora scorgere nel boschetto dei partigiani in Piazza Martiri della libertà. In tal modo Ottone I nel 962, con la conferma dei privilegi, investì praticamente il Vescovo Brunigo della “signoria” della città, comprendendo anche il potere giuridico amministrativo.
La diocesi di Asti, come risulta dal diploma dell’imperatore Enrico III del 1041, comprendeva gran parte del Piemonte meridionale (Mondovì, una parte della diocesi di Cuneo, tra cui Cherasco, Bra, parte di Fossano e di Alba) giungendo fino alle valli dell’Ellero, del Pesio, del Gesso, fino ai valichi del col di Tenda e delle Finestre; ad est, parte del territorio di Casale e Alessandria; a nord molte parrocchie di Torino comprendendo Poirino, Buttigliera e Cerreto.
Erano inoltre comprese la corte di Benevagienna, col castello cinto di mura e acquedotto, Lequio con terre e castelli circostanti, la corte di Niella Tanaro, con le sue dipendenze e la contea di Bredulo.
Il Vescovo Oddone III, figlio di Adelaide e cognato di Enrico IV, sul finire del XI secolo, alla morte della madre (unica discendente della marca Arduinica), divenne così conte di Asti e di Bredulo.
I Vescovi di Asti, secondo il Cipolla, in “ Di Audace, Vescovo d’Asti “, non perdettero mai il concetto della propria dignità spirituale e della propria missione, anzi secondo il Vassallo, il governo dei Vescovi migliorò le condizioni socio- economiche della città, fino all’esempio del Vescovo Bonifacio I (1198-1206), che durante il suo mandato cedette ai poteri civili del Comune di Asti, parte dei fondi e delle proprietà della chiesa. Nel gennaio del 1206, il Papa Innocenzo III lo rimuoveva dalla cattedra episcopale, confinandolo nell’Abbazia di Valleombrosa (Certosa di Valmanera), ma ormai il processo di laicizzazione, che porterà al trionfo dell’autonomia comunale, era inarrestabile.
Il Comune
Il Vescovo Oddone, il 28 maggio 1095, investì il Comune di Asti, nella figura dei suoi consoli, del Castello e del villaggio di Annone, con tutti i diritti ad esso pertinenti. Questo documento, presente nel Codex Astensis, è molto importante perché menziona per la prima volta i consoli della città.
L’atto che ci parla del già esistente Comune di Asti è antecedente a quello di Milano (1097), Genova (1098) e Pavia (1105).
Nel 1140 il prestigio del Comune accrebbe con il privilegio dato dall’imperatore Corrado II di battere moneta.
Il Comune di Asti cominciò subito sia una politica espansionistica economica, con i propri mercanti che avevano banchi in tutta Europa, che territoriale, con continui sconfinamenti nelle terre vescovili o nella marca Aleramica, nei territori di potenti famiglie feudatarie quali per esempio i marchesi Del Carreto, di Incisa, di Busca o i conti di Loreto.
L’espansione del Comune di Asti creò notevoli problemi a questi feudatari che, nella persona del Vescovo Anselmo e del Marchese del Monferrato, nel 1154 si recarono a Roncaglia cercando di bloccare l’ascesa del Comune di Asti tramite l’intercessione dell’ imperatore Federico I di Svevia (il Barbarossa).
Quest'ultimo si dimostrò subito ostile nei confronti dei comuni centro-settentrionali: nel 1155 mise a ferro e fuoco la città e affermò la propria autorità sulle regalie (diritti di imporre tasse, battere moneta, stipulare trattati, ecc. che erano stati acquisiti o usurpati dai comuni ai tempi di Enrico IV), e ristabilì il potere del Vescovo e di nobili suoi alleati, che portarono Asti, per un breve periodo, a schierarsi contro i Comuni della lega Lombarda.
La città, volendosi opporre all’imperatore e ai suoi alleati, i marchesi del Monferrato, nel 1168 si alleò alla Lega Lombarda, ma venne nuovamente assediata e distrutta nel 1174.
Dopo ben 22 anni di lotte, la Lega Lombarda, con la Pace di Costanza del 1183, ebbe riconosciute ampie libertà comunali: elezione dei propri magistrati, fortificazione delle città, formulazione di leggi locali.
«Nel nome della santa ed individua Trinità. Federico, per concessione della divina clemenza, imperatore augusto dei Romani, ed Enrico sesto, figlio suo, augusto re dei Romani.
...Pertanto sappiano tutti i fedeli dell'Impero presenti e futuri che noi [Federico I] per consueta benignità della nostra grazia, aprendo le viscere della nostra innata pietà alla fede ed all'ossequio dei lombardi.....che noi clementi condoniamo loro tutte le offese e le colpe colle quali avevano provocata la nostra indignazione e che, avuto riguardo ai servigi di leale affetto che noi speriamo da loro, giudichiamo di annoverarli tra i nostri diletti e fedeli sudditi....Pertanto abbiamo comandato di sottoscrivere e di confermare col sigillo della nostra autorità la pace che nella presente pagina abbiamo loro benignamente accordata.....Noi Federico, imperatore dei romani, ed il nostro figlio Enrico, re dei romani, concediamo a voi città, terre e persone della lega le regalie e le consuetudini vostre tanto in città che fuori....fuori poi esercitiate senza nostra contraddizione tutte le consuetudini come avete sino ad oggi esercitate, cioè sul fodro, sui boschi, sui pascoli, sui ponti, sulle acque e molini, come usaste ab antico o fate ora, nel formare esercito, nelle fortificazioni delle città, nella giurisdizione, così nelle cause criminali come pecuniarie, entro e fuori, ed in tutte l'altre cose che appartengono agli utili delle città....Sia lecito alle città di fortificarsi e fare fortilizi anche fuori...
...Questi sono i luoghi e le città che ricevettero insieme a Noi, previo giuramento dei Lombardi, la predetta Pace ed essi giurarono di osservarla: Pavia, Cremona, Como, Tortona, Asti, Cesarea (Alessandria), Genova, Alba, e altre i città, luoghi e persone che appartennero e appartengono al nostro partito»
(Constitutiones et Acta pubblica imperatorum et regum, Costanza, 25 giugno 1183)
Il Comune di Asti si aprì così a una grande stagione espansionistica – commerciale, e quando Federico II di Svevia tornò ad avere mire sul territorio piemontese, gli astesi con l’aiuto di Alessandria e Genova lo costrinsero più volte alla sconfitta; lo stesso avvenne più tardi per Tommaso II di Savoia: dopo anni di scontri durissimi e sanguinosi, venne sconfitto nella battaglia di Montebruno del 1255, catturato dai torinesi e tradotto in carcere ad Asti; si ampliarono così i domini di Asti su Moncalieri, la collina di Cavoretto, Carignano e Cavour.
La morte di Tommaso II nel 1259 faceva sperare per gli astigiani in un periodo di ascesa ed egemonia territoriale, in conseguenza delle vittorie riportate.
Ma gli astigiani dovettero ricredersi, visto che cominciò a profilarsi la mira espansionistica di Carlo I d'Angiò sull’Italia settentrionale. La città corse ai ripari stringendo alleanze con Pavia, Genova e Guglielmo VII del Monferrato.
Cominciò un periodo di aspre lotte culminate nel 1275 nella battaglia di Roccavione, in cui le truppe dell’Angioino riportarono gravi perdite. Fu in quell'occasione che gli astigiani, per scherno, corsero il loro Palio sotto le mura della nemica città di Alba.
Nel 1290 Guglielmo VII del Monferrato cercò invano di catturare la città, ma gli astigiani tramarono alle sue spalle di concerto con gli alessandrini che lo fecero prigioniero e lo tennero segregato fino alla sua morte.
Dopo questi avvenimenti il Comune raggiunse l’apice del suo splendore: nel XII secolo la città si dotò di una considerevole cinta muraria, le famiglie nobili innalzarono torri a simbolo della loro potenza economica – militare - la grande tavola del 1937 del pittore Ottavio Baussano di Palazzo Mazzetti, raffigurante la città nel medioevo, ci mostra una città caratterizzata da una “selva “di torri (più di 120 nel XIII secolo).
Il potere economico sviluppato dalle potenti famiglie mercatali astigiane aumentò grazie anche a sodalizi stipulati con i sovrani d’Oltralpe.
L’attività sviluppata dai ”Lombardi “ (perché Asti era compresa nel territorio Longobardo), si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa, con l’insediamento stabile di agenzie di pegno (o “ casane”) dapprima in Francia e Borgogna, poi in Germania e nelle Fiandre, e nel 1342, al fallimento delle grandi banche fiorentine, la stessa curia papale Avignonese, si affidò alla casana dei Malabaila, elevandoli al rango di banchieri pontifici.
La città di Asti nel XIII secolo fu così all’ottavo posto tra le città settentrionali al pari con Bergamo e Parma, non a caso il cronista Benvenuto da Imola, riferendosi agli astigiani, li considera “i più ricchi di tutti gli italiani”, anche se aggiungeva “perché sono i maggiori usurai”.
Contava ormai più di 40.000 abitanti ed avrebbe potuto aumentare ancora la propria espansione ed influenza in Piemonte, ma ciò non avvenne per il quasi permanente stato di guerriglia che caratterizzò la città a causa delle profonde divisioni tra le fazioni guelfe e ghibelline delle famiglie astesi.
I guelfi capeggiati dai Solaro, con i Malabaila, Garretti, Troya, Falletti, Ricci, Damiani, spalleggiati da Filippo di Acaja ed i ghibellini capeggiati dai Guttuari, Turco, Isnardi (che formavano il Consorzio dei De Castello), con gli Alfieri, Scarampi, Catena, Buneo, Cacherano, aiutati dal Marchese di Monferrato, si dettero battaglia per quasi un secolo, con alterne vicende che videro a turno esiliata o sconfitta l’una o l’altra fazione.
Per approfondire, vedi la voce Casane astigiane.
Questo stato di faide, uccisioni e rappresaglie verso l’una o l’altra fazione, indebolirono notevolmente il Comune; veniva a mancare quella coesione e comunione di intenti che aveva prmesso alla città la propria espansione politico – economica.
In breve tempo il governo della città passò dai Monferrato ai Visconti ed il 27 marzo 1379, i cittadini esasperati dalle continue lotte, si posero sotto il governo di Galeazzo Visconti.
Era la fine del periodo del libero comune. Alcuni anni dopo, la città venne compresa nella dote di nozze di Valentina Visconti in sposa a Luigi di Valois duca di Orleans. Da questo matrimonio nacquero cinque figli, di cui due diventarono re di Francia.
Il dominio Orleanese
Sotto gli Orleans, la città ebbe un nuovo periodo di rifioritura e ripresa economica. Luigi di Valois lasciò gli astesi relativamente liberi di amministrare la città. Ampliò e modificò l’antica “bealera”, un canale per deviare le acque dal fiume Borbore alla zona sud di Asti, ricca di manifatture tessili.
Il figlio Carlo d’Orléans (1394 -1465), mise a governare la città Filippo Maria Visconti e nel 1415 fu fatto prigioniero nella Battaglia di Agincourt rimanendo in Inghilterra fino al 1440.
Mentre Carlo d’Orleans era prigioniero, Filippo Maria morì senza figli e i parenti prossimi avanzarono pretese anche su Asti: i Visconti, i Valois (famiglia materna), gli Sforza e il nemico di sempre, il marchese Giovanni del Monferrato.
Asti visse quindi un periodo di circa vent’anni tra continui assalti e tentativi di difesa.
Riacquistata la libertà, Carlo d’Orleans nominò reggente Rinaldo di Dresnay che fu sempre impegnato in lotte sforzesche. Alla morte di Carlo Asti passò direttamente alla corte di Francia, con il re Luigi XI, amico degli Sforza, sotto il cui potere rilegò la città.
Il 9 settembre 1495, Carlo VIII, figlio di Luigi XI, entrò in Asti, agli ossequi di Ludovico il Moro, nel tentativo di estendere i propri domini ma alcuni stati italiani però cominciarono a preoccuparsi.
Non riuscì a raggiungere il suo scopo, morì a 36 anni e con lui il ramo dei Valois.
Gli succedette allora Luigi XII, duca e figlio di Carlo d'Orleans, deciso dove Carlo VIII non lo fu: stretta un’alleanza con Venezia e con il papa, cercò guerra con il Moro, che temeva ora di perdere il Ducato per la discendenza tra Luigi XII e Valentina Visconti. Allora formarono una Lega Antifrancese a cui si unirono anche il re di Spagna, Ferdinando il Cattolico, e l'imperatore Massimiliano I .
Nell’estate del 1499 le truppe francesi si raccolsero attorno ad Asti. Il Moro, già impegnato contro Venezia, inviò un esiguo esercito sperando nell’arrivo dell’imperatore Massimiliano, ma sconfitto, i suoi possedimenti passarono sotto il dominio francese.
Dopo la battaglia di Ravenna la città passò sotto il Paleologo e poi sotto gli Sforza, ma nel 1515 fu sconfitta dalle truppe del re Francesco I e tornò alla Francia.
I Savoia Durante la guerra fra Francesco I e Carlo V, Asti mutò spesso padrone, ma nel 1531 Carlo V la donò a sua cognata Beatrice di Portogallo, moglie del duca Carlo II di Savoia.
Gli succedette il figlio Emanuele Filiberto che concesse alla città i vecchi privilegi tra cui la corsa del Palio, che nell’occasione venne regolamentata, e le fiere di San Secondo.
Nella prima metà del 1600 imperversava la guerra tra Francesi e Spagnoli; Carlo Emanuele I di Savoia, figlio di Emanuele Filiberto, opponendosi all’Imperatore spagnolo scatenò la guerra nel Monferrato. Per cinque volte gli scontri furono favorevoli al Duca di Savoia, culminando nel combattimento del 1615 ad est della città di Asti, nella zona del fortino.
La vittoria portò alla convenzione conosciuta con il nome di "Secondo trattato di Asti", stipulato nella Certosa di Asti il 21 giugno 1615.
Nei cinquant’anni seguenti Asti venne comunque dilaniata dalle guerre: nel 1639 passò nelle mani del principe Tomaso e degli spagnoli, nel 1643 tornò ai Savoia.
Nel 1703 fu occupata dal duca di Vendome. Nel 1705 ritornò ai Savoia, per essere riconquistata dai francesi, cacciati nuovamente da Vittorio Amedeo III.
La pace di Aquisgrana (1748) portò un periodo di stabilità, ma quando scoppiò la Rivoluzione Francese, Vittorio Amedeo III fu costretto a stringere alleanze con i nemici della rivoluzione, Austria, Prussia e Inghilterra.
I nobili francesi rifugiati a Torino non gli piacevano, erano troppo dediti al lusso ed alle feste mondane. Ciononostante li accolse e li aiutò per solidarietà dinastica. Nel 1792 l’esercito rivoluzionario francese invase la Savoia.
Il Principe si difese strenuamente per cinque anni, con grande dispendio di risorse economiche ed umane per le popolazioni del Piemonte, anche se non tutti si schierarono col loro re: nel 1791 ci fu a Torino una rivolta di studenti e nel 1794 una congiura giacobina. Alla fine, abbandonato dall'Austria, fu costretto a firmare l'armistizio di Cherasco (seguito dalla Pace di Parigi nel 1796), con cui cedette alla Francia, Nizza e la Savoia.
Alla morte del padre Vittorio Amedeo III, il 16 ottobre 1796, gli succedette al trono Carlo Emanuele IV di Sardegna. Era un momento estremamente difficile: le casse dello stato erano v